“Anacoreta, uno dei “padri del deserto”. Condivise l’ideale degli eremiti che dimoravano a Scete. Fu precettore dei figli di san Teodosio il Grande a richiesta del papa san Damaso”
Le fonti degne di fede che ci permettono di conoscere la vita di Arsenio si devono a san Teodoro Studita che redasse la sua biografia nel secolo VII. Arsenio forse era nato a metà del secolo IV a Roma. Apparteneva ad una famiglia che godeva di grandi prebende e beni facendo parte del prestigioso senato. La sua preparazione intellettuale ed il vigore della sua fede cristiana attrassero l’attenzione del papa san Damaso che, oltre a nominarlo diacono, pensò a lui come la persona idonea per assumere la responsabilità di formare i figli dell’imperatore romano san Teodosio il Grande: Arcadio e Onorio. Per undici anni svolse a Costantinopoli questa tutela che non fu facile dato il carattere dei ragazzi, fino a che, alla fine del secolo IV, la sua vita prese una rotta diametralmente opposta. Era morto l’imperatore e la corte non lo soddisfaceva. Le macchinazioni e la vita dissipata che vedeva intorno a sé in qualche modo rendevano il suo lavoro di precettore quasi inutile. Poté pensare che aveva fallito nel compito educativo in quanto Arcadio e Onorio non avevano risposto come sperato. Con la loro condotta evidenziavano di non avere captato il valore della vita spirituale che volle trasmetter loro. Lasciò il suo incarico di senatore al quale era stato elevato, e preso da un profondo dilemma supplicò Dio di condurre i suoi passi verso di Lui. “Fuggi dalla compagnia degli uomini per salvarti”, fu la risposta. Si dispose immediatamente a compiere questa indicazione percepita nella sua orazione. Dove poteva andare? Il monacato era ben collocato nel deserto, e partì per l’Egitto per condividere l’ideale degli eremiti che abitavano a Scete.
San Giovanni “il Nano” fu il suo precettore. Lo provò in modi diversi constatando l’autenticità della sua vocazione che siglò con questo vaticinio: “Questo uomo sarà un buon frate”. Con ogni delicatezza i suoi fratelli l’aiutarono ad abbandonare le abitudini del passato. Senza un apice di nostalgia per le comodità e i lussi che l’avevano circondato, li rimpiazzò con gioia con l’ascesi che sapeva l’avrebbe condotto all’unione con l’Altissimo. Orazione, mortificazione e penitenza furono gli alimenti che riempirono i suoi giorni e le sue notti. A volte era perseguitato dal suo “curriculum” di persona vicina agli alti governanti, ed allora rimpiangeva ancor più la solitudine e l’anonimato.
Sempre all’ascolto della voce di Dio per conoscere la sua volontà, un giorno sentì una nuova locuzione: “Fuggi al silenzio e alla pace che sono le radici di una vita senza peccato”. Scelse luoghi più appartati e continuò il suo itinerario spirituale verso un deserto interiore che continuava ad inondare il suo spirito attraverso la preghiera ed il digiuno. Dando testimonianza della sua generosità ed umiltà, abbracciato al rigore della regola che accentuava severamente per se stesso, andò staccandosi da tutto. Fino a lì arrivavano notizie di coloro che amò, come i figli dello scomparso Teodosio che erano caduti sotto l’influsso di certe passioni e malamente potevano fare fronte alle conseguenze dei loro atti. Questo lo riempiva di grande afflizione. Ci furono altri eco del suo passato che rimbombarono anche nel suo eletto esilio. Così, un giorno seppe che era stato nominato erede dei beni di un senatore. Ma stracciò il documento che gli mostrarono, manifestando: “Io sono morto prima del senatore e, quindi, non posso essere il suo erede”. I suoi discepoli, Alessandro e Zoilo, profondamente edificati dalla sua vita, seguirono il sentiero della virtù che impararono vicino a lui.
Arsenio amava il silenzio e vigilava per non doverlo rompere. Una delle rare eccezioni che fece con le visite fu con quella di Teofilo, vescovo di Alessandria che espressamente volle parlare con lui per sollecitare il suo consiglio, pensando specialmente al gruppo di persone che l’accompagnavano. Il santo avvisò: “Vi comando che, quando qualcuno vi domandi dove vive Arsenio, non glielo diciate, oppure dite loro che si evitino il disturbo di andare a visitarlo e che lo lascino in pace”. Questa volontaria reclusione portata a tale estremo, richiamò l’attenzione dell’abate, ed egli chiarì: “Dio è testimone che vi amo con tutto il cuore. Ma, siccome non posso stare con Dio e con gli uomini contemporaneamente, preferisco dedicarmi a conversare con Dio”
Evagrio del Ponto fu un altro dei suoi illustri visitatori, e non ritornò a le mani vuote perché Arsenio pronunciava sempre parole infuocate e giudiziose che sollecitavano ad amare Dio e che mettevano in rilievo il suo spirito di penitenza, docilità e mansuetudine. Gli viene attribuita questa riflessione: “Molte volte ho dovuto pentirmi di avere parlato. Ma non mi sono mai pentito di essere rimasto in silenzio”. Ricevette il dono delle lacrime, del quale molti furono testimoni. L’invasione dei barbari nell’anno 434 l’obbligò a lasciare Scete e a rifugiarsi a Troe per trasferirsi dieci anni più tardi a Canopo. Da lì scorgeva Alessandria, il che suscitava la sua emozione. Abbandonò questa isola vedendo che si avvicinava la sua fine, e ritornò a quella di Troe. Le lacrime segnarono i suoi ultimi istanti sulla terra ed i suoi fratelli gli chiesero il motivo: “Padre, perché piangi? Hai paura di morire, come tanti altri?”. La risposta del santo eremita fu in consonanza col sentimento spirituale che l’accompagnava. Spiegò che non era tanto la paura della morte ma piuttosto il santo timore che l’accompagnava dovendo presentarsi davanti a Dio sapendo di essere un peccatore. Terminò in pace la sua feconda esistenza l’anno 449 o 450 a Menfi.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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