“Grande maestro e formatore di sacerdoti, così lo qualificò Benedetto XVI. Ebbe come modelli Filippo Neri e Francesco di Sales. Appoggiò san Giovanni Bosco, che ereditò le sue tattiche pedagogiche portare i ragazzi a Cristo”
“Tutta la santità, la perfezione ed il profitto di una persona sta nel fare perfettamente la volontà di Dio (…). Beati noi se riuscissimo a far confluire così il nostro cuore dentro quello di Dio, unire in modo tale i nostri desideri, la nostra volontà alla sua che formino un solo cuore ed una sola volontà: volere quello che Dio vuole, volerlo nel modo, nel tempo, nelle circostanze che Egli vuole e volere tutto quello non per un altro motivo se non perché Dio lo vuole”. L’esplicita volontà di seguire i dettati divini al di sopra di qualunque affanno particolare, contenuta in questa manifestazione di Giuseppe, fu una delle caratteristiche della sua vita. Benedetto XVI, glossando la sua figura in una catechesi, lo qualificò come “maestro e formatore di sacerdoti.”
Nacque a Castelnuovo d’Asti, Piemonte, Italia, il 15 gennaio 1811. Penultimo di quattro figli, apparteneva ad una famiglia benestante e cristiana. Il beato Giuseppe Allamano era suo nipote, l’aveva illuminato sua sorella minore, tutto un segno dello splendido lavoro pedagogico nella trasmissione della fede che fecero i genitori con la loro prole. San Giovanni Bosco, nato nello stesso paese, più giovane di Cafasso e suo buon conoscitore, lo descrisse graficamente quando vestì per volta prima la veste talare nel 1827, a 16 anni. Disse che era “piccolo di statura, occhi brillanti, aria affabile e viso angelico”. Per le risposte che diede allora, Don Bosco rimase ammirato della sua bontà. I suoi genitori non ebbero problemi per istruirlo nella fede perché subito mostrò tale attrazione per la virtù che perfino i vicini gli diedero il soprannome de “il santetto”.
Presto manifestò la sua vocazione sacerdotale. Si formò nel seminario di Chieri e fu ordinato il 21 settembre 1833, molto prima dei costumi di allora, mediante dispensa. Era stato uno studente eccellente, ma non si sentiva sufficientemente preparato, e si affiliò al Convitto San Francesco di Assisi di Torino. Lì ebbe occasione di impregnarsi della spiritualità ignaziana ed accogliere il nettare teologico e morale di sant’Alfonso Maria de Liguori. Fu tanto prezioso il suo compito docente come professore di questa disciplina che gli affidarono la cattedra nel Convitto. Aveva 24 splendidi anni, una cascata di passione per Cristo, un’enorme illusione per condividere il suo ideale coi suoi compagni, ed una santa inquietudine per la formazione integrale dei sacerdoti. Sapeva che se erano grandi confessori avrebbero mietuto numerosi frutti.
Dopo la morte del rettore Guala, fu scelto unanimemente per sostituirlo. Apprezzavano la sua carità, serenità, prudenza, gioviale allegria, pazienza e delicatezza; aveva scelto come modelli di vita san Francesco di Sales e san Filippo Neri. Attraeva al confessionale, al quale dedicava ore, molte persone di diversa provenienza e classe sociali; gli esponevano temi che richiedevano tatto sapendo che egli li avrebbe aiutati a risolverli. Aveva presente “quello che poteva trasformarsi in maggiore gloria di Dio ed in profitto delle anime”. Tutti i penitenti partivano con la consolazione di essere stato seguiti da un uomo esemplare, attraverso il quale vedevano la bontà e la misericordia di Dio. Il suo buon giudizio si evidenziava in abili consigli che gli diedero una fama ben meritata.
Le sue passioni furono l’Eucaristia, la Vergine ed il papa. Fu un difensore dell’ortodossia; lottò contro il rigorismo ed il giansenismo imperanti nella Chiesa. La sua generosità meriterebbe un capitolo a parte. Tra gli altri -e non solo i poveri coi quali esercitava già la sua carità fin da bambino-, aiutò economicamente Don Bosco affinché potesse frequentare gli studi. Poi, fu benefattore della sua opera, lo difese e stette al suo fianco quando lo disprezzavano. Inoltre, gli faceva dono di quello che raccoglieva dopo avere toccato il cuore di persone ricche. Sotto la sua protezione, dal Convitto uscivano grandi e coraggiosi direttori spirituali. Alcuni dei suoi alunni furono santi. Diceva loro: “Nostro Signore vuole che l’imitiamo nella sua mansuetudine”. Aveva per abitudine conciliare i suoi insegnamenti con azioni avviate a risvegliare in essi sentimenti di solidarietà. Li invitava ad accompagnarlo alle prigioni per visitare i carcerati e soccorrere i quartieri periferici. Sperava che vedendo lo stato pietoso di tanti diseredati potessero far loro tutto il bene che era nelle loro possibilità. Don Bosco ereditò questa formidabile tattica pedagogica che segnò la sua vita, dedicandosi a riscattare i ragazzi abbandonati, liberandoli dalle calamità che aveva avuto occasione di vedere nelle prigioni.
Don Cafasso era stimatissimo tra i carcerati e condannati che aiutò materialmente; ad essi si dava senza misurare il tempo per ottenere la loro conversione. Si racconta che di 57 malviventi, alcuni autori di crimini spaventosi, nessuno gli resistette; tutti si confessarono pentiti. Quando ricevevano la condanna che generalmente era la forca, gli imputati normalmente chiedevano come ultima grazia che fosse lui ad accompagnarli in quell’ultimo istante. Così riscattava le loro anime. Si vede che aveva una fortezza e tempra singolari per sopportare quelle pene delle quali era testimone, ed una grazia speciale per quell’apostolato. Don Bosco cadde svenuto in un’occasione quando vide l’esecuzione di un delinquente; non fu capace di contemplare quella scena tanto drammatica.
Sul punto di rimettere la sua vita a Dio, Giuseppe scrisse: “La morte non sarà altro che un dolce sogno per te, anima mia, se morendo ti assisterà Gesù e ti riceverà la Vergine Maria”. Gli sembrava bello morire di sabato, giorno di Maria, per essere portato da Lei in cielo; lo disse in un sermone. Si realizzò il suo sogno. Morì sabato 23 giugno 1860. L’orazione funebre fu effettuata da Don Bosco che evidenziò i suoi sentimenti verso colui che era stato il suo direttore spirituale per un quarto di secolo.
Cafasso fu beatificato Pio XI il 3 maggio 1925, e canonizzato per Pio XII il 22 giugno 1947. Il 23 settembre 1950 questo pontefice lo mise come modello per i sacerdoti, impegnati nel sacramento della riconciliazione e nella direzione spirituale.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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