
“La malattia e la morte furono i gradini di una eroica offerta. Giovane attraente, con un grande successo sociale, vedendosi sen salute promise di consacrarsi. Questa decisione, reiteratamente incompiuta, la materializzò quando morì usa sorella”.
La vita di Francesco Possenti, un groviglio di malattia e morte che furono i gradini di un’eroica offerta, è la storia di un’intensa e bellissima avventura d’amore per Gesù crocifisso, per l’Eucaristia e per Maria. E non fu così fin all’inizio. Abituato al denaro che gli procurava l’alto status sociale della sua famiglia e ai successi che lo accompagnavano, rimandava e rimandava la risposta all’appello che chiaramente percepiva dentro di sé. Esperto in promesse incompiute si offriva a Dio, ma quasi subito dopo si dimenticava di fare realtà della sua donazione.
Un groviglio di auto-inganni e bugie psicologiche gli complicavano tanto la vita da fargli perdere il tempo che Dio aveva tracciato per lui. Fino a quando la sofferenza attanagliò la sua vita: fu con una malattia e con la perdita dell’essere che più amava. Fu da allora in poi che non cercò più di piegare la volontà divina e, invece, iniziò a volerla adattare alla sua. Commosse il cuore di Gemma Galgani assistendola dal cielo, attraverso “visite” nelle quali la incoraggiava e la consigliava.
Nacque ad Assisi (Italia) il 1° di marzo del 1838. Era l’undicesimo di tredici fratelli. Perse sua madre quando aveva 4 anni. Suo padre era giudice nella città e, rimanendo vedovo, si occupò personalmente della sua formazione. Era un uomo credente che, insieme a sua moglie, aveva incoraggiato i figli a condividere quotidianamente pratiche di pietà come la preghiera del rosario. Sostenuti dalla sua fiducia in Dio affrontarono la sparizione di cinque fratelli. La sensibilità della quale si faceva onore si evidenziò anche con l’educazione di Francesco, il quale però aveva anche un cattivo genio. Un carattere impulsivo e tendente all’ira che suo padre si preoccupava di temperare, facendolo educare dai Fratelli delle Scuole Cristiane ed dai gesuiti presso i quali studiò.
Il mondo lo attraeva in molti modi e siccome era un leader, facilmente si faceva notare nei diversi ambienti. Poi, l’indomita personalità, progressivamente attenuata, lasciò trasparire un temperamento delicato, gioviale, insinuante, deciso e generoso; possedeva anche un cuore sensibile e pieno di affettività… Sapeva parlare, il suo modo di parlare era appropriato, intelligente, ameno e pieno di una grazia che sorprendeva… Inoltre, possedeva una innegabile attrattiva: era alto, di bell’aspetto; persino il suo tono di voce era attraente.
Accurato nel vestire – andava all’ultima moda – aveva doti per il canto, la poesia ed il teatro. Sensibile e incline all’innamoramento, si sentiva attratto dalla lettura dei romanzi. E tuttavia, mantenendo sempre viva la sua fede cristiana (aveva perfino nella sua stanza una scultura della Pietà che venerava), sperimentava sempre una profonda tristezza ed abbattimento. A volte andava con suo padre a teatro e lo lasciava, di nascosto, per pregare sotto il portico della vicina cattedrale, ritornando prima di terminasse l’atto.
Dio toccò il suo cuore nel mezzo di una grave malattia. Terrorizzato, promise che, se fosse guarito, avrebbe abbandonato la vita che conduceva. Guarì, ma non compì la sua parola. In mezzo a tanti contrasti, suonò alla porta dei gesuiti e, benché fosse accettato, pensò che glo avrebbe giovato una comunità più rigorosa. Si ritrovò nuovamente sul punto di morte. Era sicuro che sarebbe guarito mantenendosi fedele a Dio, toccato dall’esempio del beato Andrea Bobola, al quale aveva chiesto una mediazione. Ed effettivamente guarì. Sentiva di dover mantenere salda la sua promessa di entrare tra i gesuiti. E tuttavia, lasciò passare altro tempo.
A causa di un’epidemia di colera, perse la sorella che più amava in quel periodo. Interpretò l’evento, come un segno divino improrogabile. Comunicò a suo padre la decisione di voler dare una rotta definitiva alla sua esistenza. Suo padre stesso era del parere che un giovane così mondano come lui non si sarebbe abituato tanto facilmente a quella forma di vita e avrebbe desistito presto da quel proposito.
Fu allora che intervenne Maria stessa! Il 22 agosto 1856, durante la processione della “Santa Icona” a Spoleto, dove risiedeva, la Vergine gli disse: “Tu non sei chiamato a restare nel mondo. Che cosa vi fai, dunque? Entra nella vita religiosa”. Il 10 settembre 1856, a 18 anni, entrò nel noviziato passionista di Morrovalle (Macerata). Nella professione dei voti, assunse il nome di Gabriele dell’Addolorata.
Effettivamente, così come suo padre pensava, la differenza tra la vita vissuta e quella conventuale gli costò grandi sforzi, a tutti i livelli. A niente somigliava la frugalità della tavola con umili vivande che ora aveva di fronte con gli appetitosi cibi che aveva gustato nella sua casa. Gli orari, la disciplina… ma superò tutto. Leggiamo annotato nei suoi scritti: “L’allegria e la gioia che porto dentro queste pareti sono indicibili”. Si formò a Preveterino, Camerino ed Isola, felice di potere diventare sacerdote, anche se Dio aveva altri piani per lui.
Non si lamentò mai, sopportò santamente le umiliazioni e fu ammirato dai suoi fratelli per la gentilezza del suo trattamento, il suo fervore e la fedeltà nel compimento delle indicazioni. “Quello che più mi aiuta a vivere con l’anima in pace è pensare alla presenza di Dio, il ricordare che gli occhi di Dio mi stanno guardando sempre e le sue orecchie mi stanno sentendo ad ogni ora e che il Signore ripagherà tutto quello che si fa per lui, anche solo regalare ad un altro un bicchiere di acqua”, diceva.
Rifugiato in Cristo e tanto lontano della notorietà, bruciò perfino le note delle sue esperienze mistiche, ricolme di favori celestiali. Paziente, umile ed ubbidiente seppe trarre vantaggio dalle mortificazioni e penitenze, crescendo nella santità attraverso il dominio della volontà, nelle piccole cose che accadevano giorno dopo giorno.
Sul punto di essere ordinato sacerdote nel 1861, contrasse la tubercolosi. La Passione di Cristo gli era sempre davanti. Lo consolavano “Le glorie di Maria” di sant’Alfonso Maria de Liguori che accrebbero la sua devozione per la Vergine. Dopo un anno di sofferenze, offerte come vittima espiatoria a Cristo, dando eroica testimonianza di pazienza e di accoglienza dei patimento del decorso della malattia, morì a Isola del Gran Sasso (Teramo) il 27 febbraio 1862.
Fu canonizzato il 13 maggio 1920 da Benedetto XV.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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