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Vangelo e riflessione

Gli uomini preferiscono le tenebre alla luce

By 10 Marzo, 2018No Comments

di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei Missionari Identes
Commento al Vangelo dell’11-03- 2018 Cuarta Domenica di Quaresima, Roma. (2º Libro Cronache 36, 14-16.19-23; Efesini 2, 4-10; Giovanni 3, 14-21.)

La figura di Nicodemo rappresenta un movimento significativo dall’oscurità alla luce, essendo fedele all’ispirazione dovuta alla presenza di un Maestro spirituale straordinario: Gesù Cristo in persona.

C’era una volta un uomo che sembrava normale in tutti gli aspetti eccetto uno: credeva di essere morto. Tutti cercavano di persuaderlo che non era così, ma i loro tentativi erano vani. Infine, racconta la storia, lo portarono da un medico. Anche questo dottore cercò di convincerlo che non era morto. Dopo una conversazione lunga ed infruttuosa, il medico domandò disperato: Sanguinano i morti? La risposta del suo paziente fu: No, non sanguinano. Allora il dottore prese il bisturi e fece un piccolo taglio nel braccio dal paziente. Guardi quel sangue, disse con fiducia. Ma il paziente rispose: Caspita, allora anche i morti sanguinano!

Come mostra questa storia, il cambiamento non è facile. Questa è la ragione per la quale la persona di Nicodemo, fariseo, membro del Sinedrio – il consiglio di governo ebreo – e maestro, è significativa e degna di essere imitata. Tutti abbiamo una tendenza ad attaccarci a protettori non funzionali, per illogici che possano sembrare agli altri. Non possiamo cambiare la nostra prospettiva di vita senza fare un grande sforzo. La ragione per la quale ci aggrappiamo tanto tenacemente allo status quo non è facile da determinare. Ci sono molti ostacoli coscienti ed incoscienti durante il tragitto verso il cambiamento.

Ci sono in noi un istinto di auto-conservazione con alcuni pericoli potenziali: vogliamo che si preservi lo status quo, senza preoccuparci di quanto doloroso possa essere. Può darsi che io stia in una grotta fredda ed oscura, ma è la mia grotta e so come fare di fronte alla situazione. Lasciarla è molto difficile, e non mi preoccupo di quanto doloroso possa essere anche il rimanere lì.

Questo ci ricorda la famosa allegoria della Caverna di Platone: alcuni prigionieri hanno vissuto incatenati alla parete di una grotta durante tutta la loro vita, senza possibilità di muovere la testa. Giorno dopo giorno, vedono in una parete bianca le ombre proiettate di molte cose che passano di fronte ad un fuoco situato dietro di essi. Questa è tutta la loro realtà; danno nomi alle ombre e suppongono che siano reali, senza domandarsi se possono provenire da un’altra fonte.

Ma immaginate, dice Socrate, che uno dei prigionieri si liberi improvvisamente e possa girare la testa. Guardando il fuoco, la luce potrebbe ferire i suoi occhi, e sarebbe disorientato dal fatto che le ombre, che egli aveva creduto reali, erano solo illusioni proiettate dal fuoco. Se lasciasse la grotta e camminasse verso la luce del sole, tutto diventerebbe ancora più confuso. Il sole sarebbe ancora più brillante del fuoco, e potrebbe vedere anche dei riflessi di se stesso nell’acqua di uno stagno. Che penserebbe dei suoi compagni nella grotta? domanda Socrate. Probabilmente li compatirebbe perché stanno vivendo in una realtà tanto stretta. Se ritornasse alla grotta e raccontasse loro quello che aveva visto, probabilmente penserebbero che era pazzo.

Ma questo è molto rilevante per la nostra vita spirituale. Una delle verità chiave tanto nell’Antico come nel Nuovo Testamento è che l’opera di Dio in noi implica sempre la trasformazione di una persona e di una comunità; un cambiamento di visione e di prospettiva. Dio trasforma l’oscurità in luce. Ma forse noi che predichiamo la conversione, non siamo disposti a convertirci. Noi, quelli che predichiamo la trasformazione, probabilmente non siamo disposti a trasformarci.

La sfida più profonda che abbiamo come esseri umani è dire “sì” a situazioni che inizialmente ci rifiutiamo di accettare; dire “sì” a quello che vogliamo evitare ad ogni costo. Questo richiede una grande forza interiore, una grazia speciale, per dire “sì” a quello che viene nella nostra vita, nella nostra oscurità. Questo è il concetto positivo di Rinnegamento; per favore, ricordiamo che il Rinnegamento non è fatto solo di rinunce. Abbandoniamo quello che è falso per attaccarci a quello che è vero. Abbandono il mio stile di vita per rimpiazzarlo con gli atteggiamenti di Cristo. Vuoto il mio cuore del mio modo di fare opere buone per farle allo stile di Cristo. Sono disposto a perdere affinché vinca Cristo.

L’oscurità è qualcosa che evoca una resistenza che c’è in noi come esseri umani. Nessuno vuole sperimentare l’oscurità; nessuno vuole soffrire dolore, tristezza o paura. Tuttavia, è parte della nostra vita.

Questa oscurità viene da dentro. Se persistiamo nel dire “no”, ci sentiremo pieni di risentimento, odio ed amarezza. L’oscurità impedirà allora che la vita fluisca attraverso di noi; abbiamo messo muri e difese. Alla fine, questo può produrre forme gravi di oscurità, come una profonda disperazione, isolamento e depressione. È sentirsi morti dentro.

Quali sono le ragioni per le quali resistiamo al cambiamento?

In primo luogo, perché siamo peccatori. Dal primo atto di disobbedienza di Adamo ed Eva, ci siamo convinti che sappiamo come maneggiare le nostre vite… meglio di Dio. Facciamo il nostro, viviamo alla nostra maniera ed ignoriamo la volontà di Dio. Questa è la prima ragione per la quale dobbiamo cambiare. Dio vuole che cresciamo e ci sviluppiamo come persone che lo rappresentano nel mondo, e che curiamo il prossimo nel suo nome.

Il peccato, il desiderio di fare “il nostro” e seguire le nostre regole, è la ragione per cui dobbiamo cambiare, ma è anche quello che c’impedisce di trasformarci in quello che Dio vuole che siamo.

L’attrattiva dell’orgoglio – la pretesa di conoscere tutte le cose – fu quella che risultò nel primo peccato dell’umanità. Sant’Agostino scrisse: Dobbiamo riconoscere che l’orgoglio, perfino quando rappresenta un peccato particolare, è l’origine di ogni peccato… Pertanto, da questo punto di vista, l’orgoglio, che è il desiderio di emergere, si dice che è “l’origine di ogni peccato”.

Sì; l’orgoglio è la radice di ogni peccato. La persona orgogliosa crede di essere la più importante del mondo, perfino più importante di Dio, ed ognuno di noi ha un gran orgoglio, anche quando non appare alla superficie della nostra vita in maniera aperta. La vanità è un’evidenza di quell’orgoglio. Un’altra è sottovalutare le altre persone per sentirsi più grandi di loro e compiacersi con le disgrazie degli altri. L’orgoglio è riflesso anche in un atteggiamento altezzoso ed una tendenza a realizzare opere buone per ricevere lodi dagli altri.

Il re David riconobbe la necessità di cambiare atteggiamento quando la sua vita entrò in una spirale discendente di peccato con l’adulterio e l’assassinio. Quale atteggiamento portò a queste azioni? L’orgoglio, con le sue sequele di apatia, lussuria, egoismo e brama. Ma David, pressato dalla necessità del cambiamento, riconobbe la sua ribellione contro Dio gridando: Crea in me, oh Dio un cuore puro; e rinnova uno spirito retto dentro di me (Salmo 51, 10). Come gli israeliti e molte altre persone nella Bibbia, anche noi abbiamo esercitato la nostra libertà in maniera sbagliata.

La sete di vendetta distrugge la nostra felicità. La mancanza di autocontrollo ci porta a cedere alla lussuria e ad una golosità mal dissimulata. L’ossessione per il potere ci rende manipolatori e distruttivi degli altri.

Nicodemo vinse il suo orgoglio.

In secondo luogo, la nostra resistenza si basa sulla paura.
Il cambiamento non è qualcosa familiare, non è “quello abituale” e può richiedere lavoro. A volte è più facile non eliminare quello che ci fa sentire comodi: abitudini, preferenze radicate o relazioni personali. Almeno, siamo abituati a quello che succede. Qualunque cambiamento che Dio porta nelle nostre vite, può significare modifiche scomode. Le vecchie abitudini faticano a morire. Il cambiamento può significare che non controlliamo il nostro mondo. Non importa che questo controllo sia un’illusione; anche così, ci piace prendere le nostre decisioni e seguire i nostri desideri. Se mi abbandono a Dio, forse mi chiederà di fare qualcosa di difficile o spiacevole? mi negherà qualcosa che realmente, segretamente voglio? Temiamo di perdere il controllo delle nostre vite.

Inoltre, anche un cambiamento genuino e spirituale può significare che abbiamo bisogno di aiuto. E questo suona come una rinuncia alla nostra indipendenza. Alcuni cambiamenti possono implicare che quello che ho fatto prima non era corretto o che le mie iniziative furono poche efficaci. Ci leghiamo personalmente alle nostre attività… è difficile abbandonare qualcosa in cui abbiamo messo molto di noi.

Sperimentiamo una divisione interiore nel nostro essere. Ci sentiamo attratti da Cristo e dal suo messaggio, desideriamo conoscere ed amare Dio e gli altri come Egli lo fece, ma riconosciamo anche dentro di noi una resistenza ad avvicinarci troppo, una renitenza a donare le nostre vite a Dio. Nella prima lettura vediamo che il popolo non ascoltò Dio; non gli interessava più cercare le sue strade. Quella è anche la nostra storia. Tutti noi siamo attratti dai beni del mondo, specialmente i nostri giudizi e desideri. Non importa che cosa ci attragga, moralmente buono, cattivo o neutro, ma sia come sia l’attrazione, essa ci allontana da Dio.

Ci sono innumerevoli paure che influiscono sulla nostra reazione negativa verso Cristo e i cambiamenti che Egli ci propone.

Sperimentiamo il timore di un cambiamento nella nostra immagine, di perdere la nostra reputazione. Se mi dono a Dio, la presenza di Dio nella mia vita sfiderà la mia immagine di chi sono? Benché la nostra esperienza ci dica che quanto più ci avviciniamo a Dio, più ci trasformiamo nel nostro vero essere, ancora temiamo la perdita di una nostra presunta identità. Sentiamo l’oscurità della vergogna quando c’è qualcosa nelle nostre vite che ci piacerebbe confessare, ma che non siamo capaci di manifestare. La ragione è la nostra paura ad essere giudicati, paura del rifiuto o del ridicolo davanti agli altri.

Abbiamo anche una paura terribile di un cambiamento profondo nella nostra comprensione di chi sia Dio. La maggioranza di noi opterebbe per un Dio pronosticabile e controllabile, le cui aspettative chiare potremmo compiere facilmente. Mi fa paura pensare di abbandonarmi ad un Dio che non posso controllare.

Il nostro istinto di felicità produce la paura a non ottenere i risultati attesi con il nostro sacrificio. Forse aneliamo di donarci generosamente a Dio, ma poi ci domandiamo quali sacrifici potrebbe costarci e se il risultato vale la pena. Temiamo di rimanere delusi. L’abbandono di Gesù al Padre lo portò alla Croce; dove ci porterà il nostro abbandono a Dio?

Nicodemo vinse la sua paura.

Non abbiamo paura. La Quaresima è un tempo per credere nell’amore di Dio e accettarlo. Questo è riflesso nelle parole di San Paolo quando dice: È per la grazia che siamo stati salvati, e siamo stati innalzati con Lui e ci ha dato un posto con Lui in cielo, in Cristo Gesù.