“Offrì la sua vita per l’unità dei cristiani. Questa religiosa trappista morì a 25 anni, consumando il suo affanno vittimale, che, secondo quanto ricordò, non si trova come conseguenza di grandi opere, ma piuttosto nell’offerta totale del proprio io”.
Nacque a Dorgali, una località dell’isola italiana della Sardegna, il 17 marzo 1914. Suo padre lavorava nel pascolo al servizio di un’altra persona. Fu la quinta di otto fratelli. Era una giovane idealista ed attiva che non si tratteneva davanti a nulla quando era convinta della grandezza di qualcosa. E benché nella sua infanzia e adolescenza desse segni di ostinazione, la sua bontà finiva sempre imporsi. Così rifletterono sul suo carattere coloro che la conobbero: “Obbediva brontolando, ma era docile”; “diceva di no e, tuttavia, andava immediatamente”. In questa epoca aveva circa 6 anni di vita ed aveva perso suo fratello maggiore e suo padre, tutto questo aveva avuto influenza sulla casa. E può essere che, ancora essendo tanto bambina, si rafforzassero i tratti di una personalità come quello suo tendente alla disubbidienza e all’autoritarismo. Tra le sue inclinazioni sottolineava la lettura ed il gioco delle lettere.
Diede una svolta radicale al suo comportamento quando aveva 18 anni, dopo aver visto morire una sorella di tre anni più giovane. Davanti ad una tragedia di questa natura ci sono coloro che affrontano Dio o perdono la loro fede. Ad altri serve per riconciliarsi con Lui. In nessuno di questi due poli estremi di fronte al dolore – ci sono altre risposte – si trovava la beata. Il suo caso, abbastanza comune, era quello di chi segue la vita con una certa routine fino a che è colpito da un fatto drammatico. Ma soffrendo questa perdita si impegnò con l’Azione Cattolica, si fece catechista e cominciò ad andare a messa ricevendo giornalmente la comunione. Cosciente della muraglia che supponevano le sue debolezze per il progresso spirituale, si affannò in correggerle. In quello che si proponeva: studi, apostolato, orazione…, raggiunse alte quote perché non misurò sforzo, né sacrifici. Ci furono pretendenti che si sarebbero sposati con lei, ma in due occasioni respinse le proposte di matrimonio. A 20 anni scelse il convento di Grottaferrata, via suggerita dal suo confessore, per consegnare completamente la sua vita a Cristo. Commossa dalla misericordia divina che le aveva tracciato questo cammino, esclamava: “Quanto è buono il Signore! “. La gratitudine fu una delle virtù che l’adornarono.
Entrò nella Trappa nel settembre di 1935. Fiduciosa della volontà di Dio, viveva lontana da sé stessa, sapendosi guidata da Lui. Condensava questo sentimento facendo notare: “ora agisci Tu”. È quello che germogliò dal più intimo del suo essere quando le sopravvenne l’idea che avrebbe potuto rimanere fuori dal noviziato. Era servizievole, docile, nobile. Non le costava accettare i suoi difetti e chiedeva perdono senza ripararsi in giustificazione alcuna.
Normalmente pregava il rosario che portava allacciato tra le sue dita in molti istanti del giorno. Discreta ed abnegata, cercava l’esercizio di lavori ingrati con sommo gioia. A volte l’assaliva un sentimento di incapacità, ma l’obbedienza l’aiutava a progredire nella virtù e a non lasciarsi prendere dallo scoraggiamento. “Sto nel coro, perché la reverenda madre ha voluto così. Cantare so ben poco, ma stonare, molto. Per questo avrei voluto ritirarmi dall’incarico, ma la reverenda madre non ha voluto, dicendo che a poco a poco imparerò”. In un momento dato manifestò: “Ora ho capito veramente che la gloria di Dio e l’essere vittima non consiste in fare grandi cose bensì nel sacrificio totale del proprio io”.
Abbagliata dall’elezione divina di cui era stata oggetto, confessava per lettera ai suoi parenti: “Egli, il mio Gesù, avrebbe potuto scegliere tante altre anime più amanti, più pure, innocenti, più degne. Ma no, Egli ha voluto scegliermi, sebbene io sia indegna… “. “Potete immaginare la mia allegria… Pregate sempre affinché sia fedele ai miei obblighi e alla mia regola, facendo sempre la volontà di Dio, senza mai offenderlo e così vivere felice per tutta la vita nella sua casa”. Sapeva che l’obbedienza è chiave di libertà: “È una grande grazia vivere nel monastero, dove tutte le azioni, anche le più vili, quando sono per obbedienza, apportano un grande merito.”
A poco a poco andò conquistando il distacco sintetizzato in questa semplice e profonda confessione: “La mia vita non vale niente; posso offrirla tranquillamente”. In quel tempo, l’abate padre Couturier spingeva un movimento ecumenico, e affidò alla badessa Maria Pia Gullini di celebrare otto giorni di orazione per l’unità dei cristiani. Quando Maria Gabriella emise i voti, li offrì per la stessa intenzione, come fece il 25 gennaio 1938, tre mesi dopo avere professato, giusto nella settimana dedicata all’ottavario. Andando più lontano, offrì la sua propria vita: “Sento che il Signore me lo chiede – confidò alla madre Gullini – mi sento spinta perfino quando non voglio pensare a ciò”. La badessa non si manifestò in quel momento. Le suggerì di parlare col cappellano. Quello che egli avrebbe detto sarebbe stato quello che Dio voleva per lei. La risposta del sacerdote fu affermativa, e Dio prese la parola alla beata. Dopo essersi donata in olocausto, improvvisamente si sentì debole e stanca, e le fu diagnosticata la tubercolosi. Il direttore seppe da lei la metamorfosi che si operò quasi istantaneamente nel suo organismo: “dal giorno della mia offerta, non ho passato un solo giorno senza soffrire. Sono felice per potere offrire qualcosa per amore di Gesù”. Maria Gabriella aveva solamente questo sentimento: “la volontà di Dio, la sua gloria.”
Ricoverata, disse alla madre badessa: “Il Signore mi ha posto sulla croce e io non ho altra consolazione che quella di sapere che soffro per compiere la volontà divina con spirito di obbedienza”. Per 15 mesi sopportò eroicamente i suoi patimenti fino a che il 23 aprile del 1939 morì a Grottaferrata Aveva 25 anni ed era rimasta nella vita monastica tre anni e mezzo. La sua offerta arrivò alle orecchie di una comunità anglicana che disse: “una carità come la sua distrugge ogni pregiudizio che molti anglicani hanno contro Roma, Se tutti sentissero la loro carità, il muro della separazione smetterebbe di esistere”.
Giovanni Paolo II la beatificò il 25 gennaio 1983, ultimo giorno di orazione dell’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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