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Santo

Beata Marghierita Di Citta’ Di Castello, 13 aprile

By 12 Aprile, 2024Aprile 17th, 2024No Comments
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“La vita di questa beata, tanto maltrattata dalla natura e dal vicinato intorno a lei, brilla in tutto il suo fulgore, insegnandoci quello che succede quando l’infortunio di nascere ferita si tramuta in grazia e misericordia divine”.

Tanto male fu considerata questa beata nel suo più vicino ambiente che, eccettuando le umili persone di buon cuore che l’aiutarono, compresi i domenicani, per un tempo pochi poterono intravedere la finissima opera di oreficeria che Dio realizzava in lei cesellando il suo spirito con l’abbagliante ed ineguagliabile luce della sua bellezza. Con l’esempio della sua vita, e delle grazie delle quali fu adornata, si assesta una mazzata ai pregiudizi, alla fredda concettualizzazione di una persona per il suo aspetto esterno che, in questo caso concreto, fu accompagnata da una mancanza di pietà inaudita. Perché Margherita nacque nel 1287 nel castello di Metola, appartenente allora alla Massa Trabaria), provincia di Pesaro e Urbino, (Italia), con dolorose deformità.

Affetta da cecità, invalida – con evidente zoppia ed una prominente gobba – semplicemente per la sua debolezza, e non è poco, avrebbe dovuto polarizzare intorno a lei tutta la tenerezza dei suoi genitori Parisio ed Emilia. Inoltre, essendo nobili e benestanti l’avrebbero potuta colmare di attenzioni. Non fu così. Il suo arrivo sembrava ubbidire ad una disgrazia più che ad una benedizione. Una giovane bella e salutare si sarebbe inserita perfettamente in tanto scelto ambiente. Ma non era il suo caso. Essendo la primogenita, la povera creatura defraudò le speranze di suo padre che avrebbe desiderato un uomo, e diventò creditrice del suo sdegno. La affidarono ad una persona di servizio e fu battezzata dal cappellano della fortezza con assoluta discrezione, per non dire quasi clandestinità. Non c’era posto per lei nel castello.

Per mantenerla al riparo da sguardi altrui, fu reclusa in una cella. Quando fortuitamente fu scoperta da alcuni invitati, la trasferirono in un abitacolo costruito nelle vicinanze della fortezza, in una zona boscosa, con un finestrino per introdurre il cibo. Aveva 6 anni ed i suoi genitori non erano tornati a vederla da quando nacque. Cosicché la condannarono a vivere in una fredda prigione. Quante disgrazie tutte insieme! Così solo il cappellano che le insegnò a pregare, poté apprezzare l’intelligenza che l’adornava e come andava crescendo ricolma di quella sapienza che proviene dalla grazia divina.

Nove anni rimase in tanto inospitale posto, sola, contando unicamente sulla visita puntuale del sacerdote ed alcune sporadiche di Emilia. In quel tempo aveva imparato già a riconoscere l’amore di Dio che accoglie i suoi figli con infinita misericordia al margine di difetti e debolezze. In Cristo crocifisso trovò il modello da seguire per abbracciarsi alla croce, gioiosa di mettere ai suoi piedi le sue particolari sofferenze irrigate da molte lacrime. L’esplosione della guerra obbligò i suoi genitori ad accettarla nella fortezza, benché la trattassero come una prigioniera tenendola nella cantina in pessime condizioni. Confortata dal cappellano, sopportava tanta ignominia con interezza e fiducia.

Verso i 15 anni un giorno fu condotta dai suoi genitori a Città di Castello per sollecitare la mediazione di un francescano, (può darsi che fosse il laico frate Giacomo, morto poco tempo prima con fama di santità, e davanti alla cui tomba avvennero alcuni miracoli) e ottenere la sua guarigione. Per ciò fecero un faticoso viaggio attraversando gli Appennini. Dà l’impressione che cercassero, soprattutto, di liberarsi di tanto imbarazzante presenza. Siccome non ottennero quello che desideravano, lasciarono la ragazza in una chiesa abbandonata, al suo libero arbitrio.

La cecità del cuore, infinitamente più tenebrosa di quella fisica, era vissuta dai genitori di Margherita. Ovviamente, Dio nella sua infinita misericordia non andava a disinteressarsi di questa figlia prediletta, tanto crudelmente trattata. E come fa con tutti, in modo speciale con coloro che sono immersi nel dramma della sofferenza, l’avrebbe benedetta in modo singolare. Perciò, benché la giovane deambulasse piena di angoscia come una vagabonda, mendicanti, e poi contadini di gran cuore, si impietosirono di lei. Si realizzava la sua profonda impressione che, benché i suoi genitori l’avessero abbandonata, Dio non l’avrebbe mai abbandonata. Verso i 20 anni entrò in un convento, sembra diretto dalle oblate, che dopo un po’ fecero a meno di lei, non sopportando la presenza di tanta virtù in un chiostro di costumi un po’ allentati, come era il convento in quei momenti. Per vivere con un santo è necessario disporsi all’esigente donazione consegnata nel vangelo, altrimenti si corre il rischio di soccombere davanti alle proprie debolezze. È quello che successe allora.

Di nuovo in strada, Margherita fu accolta da un buon matrimonio composto da Venturino e Grigia. L’Ordine dei predicatori l’accettò come laica e per trent’anni vestì l’abito del Terzo Ordine di san Domenico, felice al potere incarnare la ricchezza di questo carisma. Grande penitente, abituata all’austerità, alle mortificazioni e alla preghiera, andò scalando le alte vie della contemplazione. Col suo esempio commuoveva la gente che accorreva a lei alla ricerca di consigli. Era particolarmente devota alla Sacra Famiglia ed ebbe un debole per i poveri ed i malati, che soccorreva, insieme ai reclusi ed ai moribondi.

Imparò a memoria il Salterio e normalmente meditava sul mistero dell’Incarnazione. Fu premiata con estasi, insieme ai doni di profezia e miracoli. Morì il 13 aprile 1320. Come sembra, nel suo cuore trovarono tre perle che avevano scolpite rispettivamente le immagini di Gesù, Maria e Giuseppe. Coloro che la conoscevano l’avevano ascoltata dire in numerose occasioni: “Oh, se sapeste il tesoro che conservo nel mio cuore, vi meravigliereste! “.  Il suo corpo che si conserva incorrotto – come si constatò aprendo la bara per darle nuova sepoltura il 9 giugno 1558 -, si venera sotto l’altare maggiore della basilica di San Domenico in Città diedi Castello.

Pablo V la beatificò il 19 ottobre 1609. Il prelato che si trovava in Urbino nel 1988 la proclamò patrona dei ciechi per quella diocesi.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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