Vangelo secondo San Matteo 18,21-35:
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. A questo proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: ‘‘Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa’’. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.
»Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: ‘‘Paga quel che devi!’’. Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: ‘‘Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito’’. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.
»Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: ‘‘Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?’’. E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».
Il Tuo perdono di ogni giorno
Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes
Roma, 17 settembre 2023 | XXIV Domenica del Tempo Ordinario
Ecclesiastico 27, 33 – 28, 9 ; Romani 14, 7-9; Matteo 18, 21-35
Lo scrittore russo Yevgeny Yevtushenko (1932-2017), scrisse nelle sue memorie:
I marciapiedi erano affollati di curiosi, transennati da soldati e poliziotti. La moltitudine era composta in maggioranza da donne, donne russe con le mani ruvide per il duro lavoro, e le magre spalle curve che avevano sopportato la metà del carico della guerra. Ognuna di esse aveva dovuto avere un padre o un marito, un fratello o un figlio assassinato dai soldati nemici. Guardavano con odio nella direzione verso la quale stava per apparire la colonna.
Finalmente li vedemmo. I generali marciavano in testa, col mento prominente, le labbra arcuate con sdegno, tutto il loro portamento destinato a mostrare superiorità sui vinti. “Hanno un cattivo odore, quei maledetti”, disse con odio qualcuno della moltitudine. Le donne stringevano i pugni. I soldati e i poliziotti facevano tutto il possibile per trattenerle.
Improvvisamente, qualcosa successe. Videro soldati nemici, deboli, con la barba lunga, con bende sporche macchiate di sangue, zoppicando con stampelle o appoggiati alle spalle dei loro camerati; i soldati camminavano con la testa bassa. La strada rimase in un silenzio sepolcrale; l’unico suono era il trascinare degli stivali ed il picchiettio delle stampelle.
Allora vidi un’anziana con gli stivali rotti avanzare e toccare la spalla di un poliziotto, dicendo: Mi lasci passare. Doveva esserci qualcosa in lei che obbligò il poliziotto a spostarsi. Si avvicinò alla colonna, tirò fuori dall’interno del suo cappotto qualcosa di avvolto in un fazzoletto colorato e lo aprì. Era un tozzo di pane di pane nero. Lo mise goffamente nella borsa di un soldato, tanto esausto che barcollava sui suoi piedi. Ed allora, da tutte le parti, le donne cominciarono a correre verso i soldati, mettendo nelle loro mani pane, sigarette… quello che avevano. Ormai i soldati non erano più nemici. Erano persone.
Questo mi ricorda una domanda che mi fece alcuni giorni fa un giovane ecuadoriano, intelligente e sensibile: Si dicono molte cose certe e belle del perdono, però, come si comincia a perdonare?
Mi venne da rispondergli: Con gli occhi. E gli raccontai l’esperienza di uno dei nostri parrocchiani che stava guidando il suo camioncino e dovette fare una manovra brusca per non sbattere contro un veicolo che lo incrociò inaspettatamente ad una velocità molto superiore a quella consentita. Raccontava che gli si produssero ogni sorta di pensieri fino a che, alcuni metri più avanti, il conducente si fermò davanti alla porta dell’ospedale e tirò fuori in fretta dal sedile posteriore sua figlia, che sanguinava con una seria ferita alla testa.
Evidentemente, questo buon parrocchiano ebbe occasione di guardare più profondamente la realtà dell’angosciato padre che aveva commesso molte imprudenze con la sola intenzione di salvare un essere amato.
Di fatto, nell’Antico Testamento, molte volte, la supplica a Yahveh comincia con la richiesta di uno sguardo compassionevole, sperando di essere contemplati, non solo come peccatori, ma piuttosto come un popolo sofferente e bisognoso:
Volgi lo sguardo dalla dimora della tua santità, dal cielo, e benedici il tuo popolo d’Israele e il suolo che ci hai dato, come hai giurato ai nostri padri (Deut 26, 15).
— ooOoo—
Ma l’insegnamento di Cristo nella parabola di oggi spinge il nostro sguardo molto più lontano. C’invita a renderci conto che siamo costantemente perdonati da Dio. E questa è la nostra esperienza mistica permanente; possiamo avere l’impressione di essere confortati o di comprendere un po’ meglio le verità del Vangelo, ma il perdono divino è sempre una costante, perché costantemente ci tiene stretti al suo fianco, qualunque sia la nostra risposta.
Il perdonare, secondo il Vangelo, non si limita a “non arrabbiarsi” con le offese o gli errori del prossimo. Credo che la sua caratteristica essenziale sia incorporare, integrare, accogliere chi offende o si perde. Gesù descrisse con chiarezza questo atteggiamento nella parabola del Figlio Prodigo. Sicuramente per questo ci costa tanto viverlo, perché l’autentico perdono è attivo, creativo, costruttivo.
Così è; la nostra esperienza del perdono ricevuto si manifesta in questo modo nella vita mistica, nella nostra relazione immediata con le Persone Divine.
* La Beatitudine o stato beatifico, è la pace di chi si sente accompagnato, in mezzo a difficoltà interne ed esterne. Dio Padre ci contempla e ci conforta dal momento in cui siamo coscienti della sua presenza che tutto cambia e tutto illumina.
* L’Afflizione rappresenta un trattamento intimo nel quale le Persone Divine si uniscono all’asceta rendendolo partecipe delle loro inquietudini, del loro dolore per l’umanità, in particolare per quelli che stanno vicino a noi. È una petizione dello Spirito Santo, che ci dice: Guarda ogni persona come la guardo io, come io guardo te.
* Il Dono di Pietà dà al nostro modo di amare il sapore della misericordia, di contemplare ogni essere umano come un pellegrino, come qualcuno che cammina penosamente verso la sua vera casa, commettendo necessariamente goffaggini, errori… come quelli che riempiono la tua vita e la mia.
Cristo visse e spiegò in mille modi quel modo di perdonare, accogliendo Pietro dopo il suo rinnegamento, Tommaso quando dubitò, la donna adultera che era condannata da tutti, i ladri che l’insultavano sul Golgota…
— ooOoo—
A volte diciamo che, recitando il Paternostro, e supplicando Dio Padre che “perdoni le nostre offese come noi perdoniamo quelli che ci offendono“, facciamo una specie di impegno per obbligarci ad essere misericordiosi. Senza dubbio, è una delle lezioni della parabola di oggi, dove la fine terribile non è quella che Dio farà fare a noi, bensì un’immagine tipica dei predicatori dell’epoca di Gesù per far risaltare l’importanza di un messaggio e, in questo caso, spingerci a non perdere le grazie ricevute e la testimonianza che diamo nel perdonare il prossimo. Di fatto, non c’è migliore termometro per sapere se ho approfittato della grazia ricevuta da Dio che la misura del mio perdono a tutti, per le piccole o le grandi offese.
Però le offese dalle quali chiediamo di essere perdonati non sono solo quelle che abbiamo commesso nel passato, ma anche quelle del futuro, essendo sempre più coscienti della distanza che c’è tra l’amore che nostro Padre ci dà e la nostra povera risposta.
Siamo e saremo sempre debitori del nostro Padre celestiale, allo stesso tempo che ci dispiacciamo e ci lamentiamo del male che ci fanno gli altri. Non c’è dubbio che la parabola di oggi è un ritratto fedele di ognuno di noi. Come diceva la sapienza antica: Se il giusto cade sette volte, egli si rialza, ma gli empi soccombono nella sventura. (Prov. 24, 16).
La Prima Lettura illustra oggi la peggiore conseguenza di non perdonare sinceramente: Se un uomo serba rancore ad un altro, può forse chiedere la salute al Signore? Questa grave conseguenza non è una presunta “risposta di castigo” da parte di Dio, ma è che si produce un’interruzione del nostro dialogo con Lui. Detto con parole semplici, chiudiamo la bocca allo Spirito Santo. Questa terribile realtà spiega la nostra lontananza da Dio. In questo senso, è certa quell’affermazione (che non ha valore assoluto) che perdonare un altro significa perdonare me stesso, perché rendendo libero il prossimo dai suoi errori passati, mi libero da quella barriera che mi separa da un vero dialogo con Dio.
L’insegnamento del libro Ecclesiastico o Siracide è semplice, basato sull’esperienza, e ci mette sulla soglia del regno dei cieli, in uno stato sempre crescente di unione con Dio.
Come normalmente si dice, il perdono non è qualcosa di umano, ma di divino. Per questo motivo devo ricorrere all’orazione se realmente mi propongo di imitare Cristo e vivere una vita piena, ispirata dallo Spirito. Una ed un’altra volta devo supplicare di avere la forza per perdonare, perché non mancheranno in te ed in me, in qualunque persona, tratti di vittimismo, di essere convinti che siamo innocenti, che soffriamo aggressioni costanti da quasi tutto il mondo.
Alcuni psicologi hanno identificato questo vittimismo con una forma di narcisismo di chi cerca così di manipolare gli altri ed abusare di loro. Essere coscienti di questo è importante per aiutare ed accompagnare le anime nel loro cammino spirituale, perché chi insiste nel proclamare la sua condizione di vittima si lamenterà che “nessuno comprende, né dà valore alle sue proposte”, “è sempre frainteso e nessuno lo ascolta”. Così arrivano a credersi moralmente superiori e… e non ricordano mai di avere offeso qualcuno.
Infine, troveranno una forma di vendetta, più o meno diretta, con azioni o diffamazioni, ma sempre causando un dolore come quello che provocò il servo spietato della parabola che aveva privato il suo debitore dell’allegria di vivere.
Il Sacramento della Riconciliazione ci rende più coscienti del male che abbiamo fatto e anche della grazia che riceviamo attraverso il perdono e l’assoluzione. Il semplice fatto di chiedere perdono, anche se per un errore piccolo ed insignificante, ci unisce al prossimo e a Dio.
Questo spiega perché la Seconda Lettura, nella sua brevità, ci dà un principio che dobbiamo ricordare ogni giorno: Se viviamo, viviamo per il Signore, e se moriamo, moriamo per il Signore. Al di là di un’avvertenza morale, San Paolo ci conferma che niente può saziarci, né l’avere ragione, né vedere qualche frutto del nostro sforzo, né la gratitudine, né qualunque tipo di applauso. Ci darà pace solo la coscienza crescente che, finendo la giornata, possiamo dire: Padre, non so se ci sono riuscito, ma ho voluto donarti ogni istante di questo giorno.
Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,
Luis Casasus