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Santo

San Daniele Comboni, 10 ottobre

By 9 Ottobre, 2023Aprile 17th, 2024No Comments
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“Fondatore dei comboniani, missionari e missionarie. Apostolo d’Africa dove portò il peso della pace di Cristo. Credette fermamente che la croce avrebbe convertito questo grande continente in terra di benedizione e salvezza”.

“O Africa o morte!” era il sentimento appassionato di questo insigne missionario; germogliava dalle sue viscere e gli conferiva la spinta per continuare a lottare per Cristo. Essendo unico superstite di una numerosa famiglia di otto figli, a sua madre, Domenica, non tremò la voce quando lo vide partire nel 1857 dopo la sua ordinazione sacerdotale, dicendogli: “Va Daniele, e che il Signore ti benedica”. Questo gesto di somma generosità nutriva di benedizioni, insieme a quelle divine, la determinazione irrevocabile di questo apostolo che era nato al mondo a Limone sul Garda (Veneto, Italia) il 15 marzo 1831. Il santo non lo dimenticò mai; nelle lettere che andava inviando dalla sua missione ringraziò sempre i suoi genitori per questo distacco. Ambedue erano scarsi di risorse; servivano come contadini un luogotenente dalla zona. Per questo motivo Daniele dovette andare a Verona, dove il venerabile Nicola Mazza aveva fondato un Istituto pensando al futuro di giovani come lui, poveri ma con grandi doti.

Fu lì dove arse la fiamma della sua vocazione sacerdotale e missionaria, avendo all’orizzonte dei suoi sogni apostolici il continente africano. A ciò contribuì la sua amicizia con un antico schiavo sudanese, col quale condivideva le aule. Il 6 gennaio 1849 si impegnò davanti al Mazza a “consacrare la sua vita a Cristo in favore dei popoli africani fino al martirio”. Ricevette l’ordinazione sacerdotale a Trento nel 1854, dalle mani del vescovo beato Giovanni Nepomuceno Tschiderer. Tre anni più tardi, senza avere compiuto i 26 di età, partì per l’Africa insieme a cinque missionari educati, come lui, da Mazza. Arrivò a Kartum, capitale del Sudan, e lì si scontrò con la realtà: clima soffocante, rischi di ogni genere, miseria, abbandono, malattia, etc. Tutto ciò avrebbe invitato degli spiriti pusillanimi ad arrendersi, cedendo alla paura, ma non lui che si sentì spronato a lottare con più forza che mai. “Dovremo affaticarci, sudare, morire; ma pensando che si suda e si muore per amore di Gesù Cristo e la salvezza delle anime più abbandonate di questo mondo, incontro la consolazione necessaria per non desistere in questa grande impresa”, scrisse ai suoi genitori. Era stato un viaggio difficile, pieno di sofferenze e contrarietà, compresa la morte della maggioranza dei membri di questa missione. “O Africa o morte!” è la sigla istantanea di una fedeltà irrevocabile a Cristo che sgorgò dalle sue labbra davanti alla morte di uno dei missionari che l’accompagnavano, il padre Oliboni.

Tornò in Italia disposto a progettare una nuova strategia per portare avanti la missione. Il 15 settembre 1864 a Roma pregò sulla tomba di san Pietro. Lì concepì quello che sarebbe stato conosciuto come il “Piano per la rigenerazione dell’Africa”, sintetizzato nell’idea di “salvare l’Africa per mezza dell’Africa”. Il suo unico obiettivo era “quello di portare il bacio della pace di Cristo” a quei popoli del continente. Tre giorni più tardi fece conoscere il suo piano al papa Pio IX ed al cardinale Barnabó, prefetto di Propaganda Fide. Il pontefice gli disse: “lavora come un buon soldato di Cristo!”. Comboni cominciò effettuando viaggi in diversi punti dell’Europa in un lavoro di coscientizzazione, stimolo e richiesta di aiuto per questo progetto, senza trascurare nessun ambito sociale. I suoi interlocutori andavano dalle autorità ecclesiali, la regalità e la potente aristocrazia fino alle genti semplici e povere. Per suscitare vocazioni e mantenere vivo lo spirito missionario si servì anche di uno strumento prezioso: la creazione di una rivista. Nel 1867 e nel 1872 fondò rispettivamente i Missionari Comboniani e le Missionarie Comboniane. Ottenne che la Chiesa si coinvolgesse in questo compito missionario, specialmente col suo Postulatum esposto nel Concilio Vaticano I.

Sempre prodigandosi per tutti, non nascondeva il suo sforzo. Scrivendo al padre Arnold Janssen da Kartum nel 1875 gli diceva con tutta semplicità: “Mi perdoni se le scrivo in latino; ma è che non dormo per eccesso di occupazioni, e sono esaurito. Per questo motivo non le scrivo in tedesco, perché avrei bisogno di più tempo e dovrei usare il dizionario…”. Nella stagione estiva del 1877 fu designato vicario apostolico dell’Africa centrale e consacrato vescovo. Nei suoi molteplici viaggi nel continente lottò contro lo sfruttamento inumano, la schiavitù ed ogni tipo di soprusi contro il popolo che tanto amava. La sua forza proveniva dalla croce di Cristo, alla quale si abbracciò e dalla quale non staccava i suoi occhi. Otto giorni prima di morire disse: “La croce ha la forza di trasformare l’Africa in terra di benedizione e di salvezza…. A me non importa niente. Desidero solamente essere anatema per i miei fratelli. Quello che mi importa è la conversione della ‘Nigrizia’ “.

Alcune ore di terminare la sua vita sulla terra ancora lo seguivano altri problemi interni. Al rettore del suo seminario di Verona, padre Sembianti, scrisse da Kartum l’8 ottobre 1881, preoccupato per un tema di governo: “Grande stupore mi ha prodotto il conoscere il turbamento della superiora nel ricevere la mia lettera, nella quale chiedevo cose relative al suo dovere, e che io avevo diritto a chiedere in coscienza. Se ciò è così, siccome non voglio causare nessun disturbo, le assicuro, e lei lo assicuri alla superiora che non la scomoderò più con nessuna lettera o scritto. Che magnifiche relazioni mantiene un Istituto dove devono fiorire la carità, l’obbedienza, la fiducia ed il rispetto dell’autorità, che magnifiche relazioni, dicevo, mantiene l’Istituto delle Pie Madri della Nigrizia con il loro fondatore che suda, si affatica e non dorme, per sostenerle ed ottenere che non manchi niente a loro! Che spirito del Signore!”. Al tempo, insieme alla notizia di altre azioni apostoliche, le comunicava di avere battezzato “quattordici infedeli, tra pagani e musulmani”. Due giorni dopo avere firmato questa lettera, proprio il 10 ottobre 1881, partì al cielo. “Io muoio -vaticinò- ma la mia opera, non morirà”. 

Giovanni Paolo II lo beatificò il 17 marzo 1996, e lo canonizzò il 5 ottobre 2003.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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