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Il buon sapore della fraternità. Riscoprire il pane, riscoprirsi figli

“Non pensavo ci fossero ancora persone capaci di vivere con tanta radicalità, come nel video.”

Così ha detto un padre, ammettendo la sorpresa di fronte alla testimonianza di una comunità che vive la fraternità come legge e che ha scelto di vivere abbandonando ogni comodità per abbracciare una vita evangelica di povertà e servizio radicale.

Le famiglie della parrocchia di San Matteo Apostolo di Roma, insieme ai loro figli, ai catechisti e ai missionari identes, si sono ritrovate sulle colline di Roma Nord, accolti dalla comunità di Nomadelfia. Non per ascoltare una lezione, ma per condividere un’esperienza di vita.

Una giornata di convivenza con riflessioni e testimonianze. Molti hanno sentito che questa è Chiesa, fatta di pane condiviso e vite che accolgono.

Una mamma ha detto: “C’era una luce, una grazia, una leggerezza che veniva da Dio.”

Un catechista ha raccontato che molti nel suo gruppo si sono commossi, riconoscendo quanto si fossero allontanati dall’Eucaristia e dalla riconciliazione.

Poi è arrivata la testimonianza di Andrea.  «Era il 2000. Avevo 23 anni. Vivevo in Ecuador. Stavo per finire l’università. Lavoravo, studiavo. Ed è lì che è iniziato un cammino con Cristo e con i missionari identes. Non sapevo dove mi avrebbe portato, non ne avevo la minima idea. Ma proprio in quell’anno, per grazia di Dio — e con molta paura, lo ricordo bene, la sento ancora quella paura — ho detto sì. Con tanta pace nel cuore, ho detto sì. Da lì è cominciata una vita nuova con Lui. E 25 anni dopo, eccomi qui, davanti a noi».

Andrea ha ricordato che il 2025 è un anno giubilare e che Dio continua a cercarci nel nostro quotidiano. La vocazione è un sì concreto, nella nostra realtà e nei nostri limiti, come Maria. Da qui la sua domanda semplice, ma spiazzante: “Gesù, oggi cosa posso fare per te?”

E ha aggiunto, con emozione:
«Il giorno della Prima Comunione dei vostri figli sarà un giorno di grazia, in cielo e in terra. Perché Dio le cose le fa così: in grande, in pienezza, sempre.»

Anna, invece, ha accompagnato i genitori in un momento di riflessione per riporsi davanti al senso dell’Eucaristia e della confessione.
“Forse ci ricordiamo quando abbiamo fatto la comunione. Ma poi, crescendo, abbiamo abbandonato tutto. Ci siamo dimenticati che Dio si fa pane. Quotidiano. Prossimo. Umile. Eppure, anche noi ci siamo fatti pane per amore: per i nostri figli, per chi amiamo. Ci siamo allontanati a piccoli passi, ma oggi Dio ti sta chiamando: ‘Alzati, torna, ti aspetto.’”

Così, alcuni genitori si sono avvicinati alla confessione dopo anni. Altri hanno iniziato a fare domande come: “Ci credo davvero che quel pane è Dio?”

In mezzo ai sorrisi dei ragazzi, alla semplicità della condivisione, si è fatta strada la nostalgia della santità. Quella che non fa rumore, ma che risveglia.

E così, tra un gioco, una testimonianza e un abbraccio, qualcuno ha ricominciato a credere che Dio è padre, che ama senza condizioni. Che l’Eucaristia non è un rito, ma un incontro.

Come ha detto un catechista alla fine:

“La comunione che i nostri figli riceveranno non sarà solo loro. Sarà anche la nostra.”