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Che cos’è la Croce

By 10 Aprile, 2019No Comments
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di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei missionari Identes

Domenica delle Palme (Isaia 50, 4; Filppesi 2, 6-11; S. Luca 22, 14 -71.23, 1-56)

Per una buona ragione, la croce è il simbolo della nostra fede. Fede in quello che Cristo fece per noi e fede nel nostro programma di vita come cristiani. 

Oggi, la lettura della sua Passione dovrebbe essere una sfida per abbracciare questa Croce, il maggiore segno di salvezza per tutta l’umanità. Approfittiamo di questa opportunità, ricordando che perfino un Santo come Pietro negò Cristo tre volte in un’ora.                                        

1. La vera pace ha un alto prezzo. Quando Adamo ed Eva tradirono il Signore mangiando il frutto nel giardino, Dio provvide a coprire la loro nudità. Essi sapevano che il loro peccato doveva essere coperto. Dio stesso provvide la copertura. Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì. (Gen 3, 21). Sì, Dio fece le loro tuniche di pelle: il primo sangue versato nella creazione non fu per un assassinio, bensì il sacrificio di un animale innocente. Il Nuovo Testamento conferma la Legge: Secondo la legge, infatti, quasi tutte le cose vengono purificate con il sangue e senza spargimento di sangue non esiste perdono. (Eb 9, 22). 

Non pensiamo che questa realtà si riferisca solo all’ambito della morale o della religione. 

Ad Atene, poco dopo la grande battaglia di Maratona, un uomo è condannato a morte. In quella famosa battaglia gli ateniesi avevano preservato, con prodezza, la libertà del loro piccolo stato, contro le poderose milizie dei persiani; e tra coloro che si erano distinti eroicamente, c’era il fratello del condannato che era stato gravemente ferito nel combattimento. Dietro il giudizio, l’evidenza contro il condannato era incontestabile; non c’era possibilità che il detenuto si liberasse della condanna. Improvvisamente apparve qualcuno che chiese di essere ascoltato. Era suo fratello. Quando gli domandarono che prove aveva da presentare per dimostrare che il prigioniero non doveva essere dichiarato colpevole, alzò semplicemente le sue braccia mutilate: non erano che moncherini, le mani erano sparite completamente; rimanevano solo i moncherini feriti. Era conosciuto come qualcuno che, nella battaglia di Maratona, aveva fatto prodigi di valore ed aveva perso le sue mani. Quelle ferite erano l’unica evidenza che presentò, l’unica supplica che mostrò per dire che suo fratello doveva essere  liberato. E la storia dice che, a causa di quelle ferite, a causa di tutto quello che suo fratello aveva sofferto, il prigioniero fu assolto. Immediatamente, l’imputato ottenne la libertà. 

Questo è il prezzo della vera pace. Tutti abbiamo bisogno di questa pace. Nella nostra anima che  soffre sempre i conflitti delle passioni; nelle nostre relazioni, deteriorate dai nostri attaccamenti; nella nostra relazione con Dio, turbata dal nostro peccato ed dall’ignoranza. Una delle differenze tra questa pace e la pace di questo mondo è che la pace che viene da Gesù è contagiosa e può essere trasmessa. Questo spiega perché diciamo nella Santa Messa: Vi lascio la pace, vi do la mia pace.

La pace di questo mondo è cangiante ed instabile, per questo motivo il popolo di Gerusalemme ricevette Gesù quando entrò nella città santa, acclamandolo come Re d’Israele ed alcuni giorni dopo, la stessa moltitudine lo respinse: Crocifiggilo, crocifiggilo! La pace che Cristo ci porta ha necessariamente il prezzo del sangue. Nella tradizione ebraica, il sangue rappresenta la vita e spesso lo si denomina “sangue della vita”. Sì, la vera pace richiede una nuova vita, cioè, offrire la propria vita… non semplicemente cercare di convincere gli altri. La Croce è stata chiamata a ragione l’Albero della Vita. La Prima Lettura ci dice come Dio darà, a quelli che donano la loro vita, una lingua ben allenata, ma anche la forza per non togliere il viso e non fuggire da sputi e spintoni. 

2. Il cammino della croce. Nella domenica delle Palme acclamiamo Gesù che ci indica il cammino verso questa pace e gli chiediamo che ci porti con lui in quel cammino. Nel nostro Esame Ascetico si riflettono le condizioni stabilite da Cristo per convertirsi in uno dei suoi discepoli: rinnegare se stessi, prendere la croce e seguirlo. Per ciò, Gesù diede l’esempio e promise che coloro che perderanno la loro vita per causa Sua, la troveranno (Mt 16,25). Questa atteggiamento è più che uno sforzo, rappresenta l’atteggiamento di aprirci completamente all’azione divina. Come ci dice la Seconda Lettura di oggi: “… spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome…”

Cristo dice ai suoi discepoli che devono rinnegare se stessi. Nel Vangelo, la parola che si traduce come “rinnegare” è la stessa che si usa per descrivere l’azione di Pietro quando lo riconoscono come uno dei seguaci di Gesù. Quando gli si domanda, Pietro dice di non conoscere Gesù; nega di avere alcun contatto con Lui. “Rinnegare” è l’opposto di riconoscere. Coloro che ascoltano la parola di Gesù sono chiamati a rinnegare se stessi invece di rinnegare Cristo. Devono smettere di essere la massima priorità o il centro del loro universo. Invece di cercare di essere Dio, devono lasciare che Dio sia Dio. Siamo chiamati a mettere il lavoro del regno di Dio davanti ai nostri desideri. Piuttosto, dobbiamo mettere da parte la nostra attenzione a noi stessi, i nostri giudizi (scorretti o corretti), i nostri desideri di controllare. Dobbiamo essere disposti a riconoscere la presenza di Dio nel nostro prossimo ed essere continuamente guidati dall’amore di Dio per il mondo e, in particolare, verso coloro che sono poveri e vulnerabili. 

Il rinnegamento intellettuale ed emozionale (o rinnegamento dell’io) è qualcosa di   estremamente esigente, perché richiede che ricorriamo al Vangelo precisamente nei momenti critici, quando siamo vittime delle nostre passioni o quando non abbiamo tempo per riflettere. Come dicono alcune persone, agiamo in modo automatico. 

Questo è certo per tutti noi. Non accogliamo facilmente le persone che sfidano i nostri piani e le nostre decisioni. Tendiamo a prendere come un’offesa personale le loro opinioni e, come conseguenza, invece di soppesare il valore dei loro argomenti, dedichiamo più tempo a trovare la forma di resistere alle loro obiezioni. Non siamo pronti ad ascoltare o vedere dal punto di vista dell’altra persona. La nostra insicurezza e i meccanismi di difesa ci accecano. Quando sentiamo una violazione della giustizia contro di noi o specialmente contro i nostri cari, ci sentiamo indignati. Cosicché l’autodifesa è la risposta abituale verso coloro che ci feriscono. Pertanto, dobbiamo accettare che, in riferimento al rinnegamento, siamo e saremo sempre discepoli, apprendisti di quella materia. 

Se siamo fedeli all’accettazione intellettuale del Vangelo, stimandolo come la nostra guida giornaliera, come il nostro piano o manuale per la vita quotidiana (Unione Formulativa) saremo pronti ad affrontare le difficoltà più concrete del nostro Difetto Dominante, Attaccamento al mondo e la divinizzazione del nostro ego (Unione Purificativa). 

San Luca aggiunge un dettaglio che non si trova nel racconto di Matteo o Marco sulle parole di Gesù: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. (Lc 9, 23). Seguire Gesù è un compito della nostra vita quotidiana. Questo è lo Spirito del Vangelo. Essere un discepolo fedele esige il prendere decisioni tutti i giorni per vivere alla maniera di Gesù, non alla nostra. Questo presuppone fare numerose scelte e prendere decisioni, anche molto piccole, per servire i nostri fratelli e sorelle bisognosi, anche quando ciò implica rinunciare alle nostre necessità e preferenze. Per prendere la croce, spesso dobbiamo morire a noi stessi di queste forme apparentemente banali e quotidiane. 

Portare la croce non è un atteggiamento passivo. Non significa essere schiacciato o essere distrutto, bensì riuscire a camminare come Cristo sul cammino della croce. 

Portare la croce non significa solo sopportare le tribolazioni della vita o la sofferenza della malattia, perché questo sarebbe in fin dei conti un guardare se stessi. Inoltre, tutti, cristiani o non cristiani, in un momento o in un altro, soffriamo malattie. E molte persone non religiose sanno come soffrire con vera pazienza. Portare la croce significa piuttosto poter aiutare altri nei loro momenti di malattia, quando anche noi siamo malati e le nostre forze non sono nel loro momento migliore. 

Portare la croce non significa che, quando una tragedia colpisce la mia vita, sia quella la mia croce. Ogni essere umano si scontra e sbatte con la tragedia in un momento o in un altro nella sua vita. Piuttosto, portare la croce significa riuscire ad aiutare le persone che si vedono colpite da disastri nella loro vita, (riuscire) a rialzare altre persone schiacciate dal peso del dolore, (riuscire) ad asciugare le lacrime di coloro che piangono, a mostrar loro la speranza di una nuova vita attraverso la donazione del nostro amore. E tutto questo in mezzo alla mia mediocrità, ai miei peccati e ai miei limiti… o ai limiti imposti dall’invidia, dalla persecuzione e dai malintesi. 

Cristo poté portare la croce perché era sempre cosciente di essere accompagnato da suo Padre e nostro Padre in ogni passo di questo viaggio che chiamiamo vita. Questa è una grazia estremamente importante che condividiamo come figli battezzati di Dio. Complementa l’aspirazione profonda di ogni essere umano, sia credente o no, cosciente o no: dare la vita per il prossimo. 

Quando le truppe comuniste entrarono in Cina, guidate da un tenente addestrato all’estero, un vecchio amico gli disse: Come puoi pensare di catturare la città questa notte? Non sai che hanno 10 volte più truppe di te, che devi attraversare quel fiume ed affrontare le armi nemiche che sono molto più letali delle tue? Il tenente comunista rispose: Sarò felice se il comunismo potrà avanzare anche solo di un chilometro.  Ho io la stessa dedicazione a Gesù Cristo? 

Viviamo in un mondo imperfetto con persone imperfette che prendono decisioni imperfette. Dovuto a questo, ogni persona condivide ugualmente una natura caduta ed imperfetta. E questo significa che ognuno di noi porta una croce di qualche tipo. Portare la croce e seguire Cristo significa seguire Dio e fidarsi di Lui, nonostante le deficienze che tutti abbiamo, che sono più facili da accettare in molti sensi se possiamo incolpare qualcuno, ed è Dio che spesso incolpiamo. Prendere la croce e seguirlo significa continuare confidando e glorificando Dio, nonostante le nostre difficoltà. 

Seguirlo significa permettere che Cristo stia alla testa. Dove Egli ci guida… non sempre lo sappiamo; né dove né perché. I discepoli non esistono per guidare, proteggere o possedere Cristo, devono seguirlo. In questo tempo di Quaresima, ci viene chiesto di riflettere su quello che significa seguire Gesù Cristo, qual è il vero costo dell’essere discepoli. Gesù ci chiama ad offrire letteralmente tutto quello che abbiamo. E l’esperienza dei santi e la nostra esperienza dimostrano che offrire meno di questo non basta. Ma prendere la nostra croce richiede un sacrificio che può essere difficile da ascoltare quando siamo troppo fiduciosi e sicuri di noi stessi… o quando non è il momento migliore della nostra energia ed entusiasmo. 

Qual è l’alternativa? Proteggere la mia vita e la mia fama, non donarli a Dio, giocare sul sicuro, guadagnare il mondo… questo significa perdere l’anima. Quanto vale la tua anima? Che cosa puoi dare in cambio della tua anima? Siamo chiamati a decidere se stiamo con Lui, o fuggire, ed essere semplicemente spettatori della sua morte. 

La gente vide in Gesù chi viene veramente in nome del Signore e porta la presenza di Dio tra noi. Questa è la sua vittoria e la nostra vittoria, questa è la sua testimonianza e la nostra testimonianza. Non solo avere successo in un’attività o un progetto, bensì avvicinarsi agli altri in nome del Signore, con un solo proposito ed una sola intenzione: mostrare la realtà del suo regno di pace in questo mondo lacerato. 

La croce è il segno più eloquente del suo amore misericordioso, l’unico segno di salvezza per tutta l’umanità. Che la nostra croce personale sia, in maniera simile, un segno piccolo ma espressivo di quello che Cristo annunciò: Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me (Gv 12, 32). 

L’insegnamento finale di Gesù è seguimi. In esso ricordiamo il nostro ruolo come seguaci di Gesù. Dobbiamo osservarlo, ascoltarlo e poi seguirlo, dobbiamo imparare da Lui. Per questo motivo l’orazione, la Parola di Dio e l’Eucaristia sono il nostro alimento spirituale. 

Ci sono momenti in cui ascoltiamo la chiamata di Gesù per metterci in marcia ed altri momenti in cui dobbiamo attendere. Ci sono molte occasioni in cui Cristo invia operai affinché ci accompagnino nel nostro lavoro. Egli non ci chiede di prendere la nostra croce da soli. Abbiamo l’opportunità di essere come Simone di Cirene, come nostra Madre Maria, sempre al suo fianco.