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Santo

Beata Blandina (María Magdalena) Merten, 18 maggio

By 17 Maggio, 2024No Comments
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“Valorosa offerta vittimale della propria vita. Altra messa a fuoco di fronte al dolore. Professando come religiosa orsolina aggiunse ai voti di povertà castità e obbedienza quello di essere vittima. E’ stata chiamata sposa nascosta di Cristo”.

“Dio non richiede opere straordinarie; solo desidera amore”, fece notare questa religiosa. La sua fu un’altra vita di nascondimento in Cristo, sentiero che nell’1987 la portò agli altari, dopo avere percorso le azioni quotidiane facendole diventare soprannaturali. Nacque il 10 luglio 1883 nella località germanica di Düppenweiler di Saarland. Era la penultima di dieci fratelli. I suoi genitori, John e Catherine, umili contadini, avevano forgiato l’educazione dei loro figli con il cappotto della fede. E Magdalena passò anni vedendo come qualcosa di naturale come si vivevano nella sua casa le pie pratiche che condivideva con gran fervore: la messa, la recezione dei sacramenti e la preghiera del rosario. Furono il germe della sua vocazione.

Terminò brillantemente i suoi studi di magistero nell’Istituto di Marienau in Vallendar, ed esercitò la docenza in Morscheid, Hunsrück dal 1902 al 1908. Era una distinta professionista che andava lasciando al suo passaggio la stele della sua bontà, suscitando la stima delle sue alunne. Prudente, dedita, e singolarmente devota dell’Eucaristia, soprattutto da quando a 12 anni ricevette la prima comunione subito seguita dalla cresima, aveva il suo cuore disposto a compiere la volontà divina. I bambini, particolarmente gli indigenti, erano sempre sotto la sua osservazione. Il suo lavoro con loro era completo: vestito, alimento, insegnamento…, realizzato tutto in mezzo a una proverbiale delicatezza, squisitezza e generosità. Al suo buon fare accademico aggiungeva la ricchezza di una visione illuminata dalla fede che la sollecitava ad orientare le sue alunne a transitare per il cammino dell’amore a Cristo Redentore e Maria, così come la devozione per l’Eucaristia. In lei si realizzava quello che dice il vangelo: “dell’abbondanza del cuore parla la bocca.”

Aperte le braccia a Cristo, a 25 anni diede un passo decisivo tendente alla sua consacrazione. Il 2 aprile 1908, insieme a sua sorella Elise, diventò religiosa orsolina del convento di Calvarienberg in Ahrweiler. Lì prese il nome di Blandina (in onore di una martire cristiana della prima era) del Sacro Cuore. Professò nel 1910. Il suo direttore spirituale, il gesuita padre Merk, le diede il permesso di aggiungere ai suoi voti di povertà, castità ed obbedienza, quello di “essere vittima”. Sono necessarie alte dosi di valentia e fortezza, e moltissimo amore per affrontare il dolore a viso aperto.   Magdalena era in possesso di queste grazie. Le avanzavano energie per accogliere quello che Dio avrebbe disposto per la sua vita. Lei stessa raccolse per iscritto la sua impressione che Cristo accettava la sua offerta professando perpetuamente il 4 novembre 1913. Allora fece notare: “In questo giorno mi consacrai al Divino Redentore e credo che Egli approvò il sacrificio.”  

Adottava di fronte al dolore un atteggiamento infrequente, offrendosi in libagione per esclusivo amore a Dio. Quando l’abituale è – se non si offre resistenza alla sofferenza – accettarlo senza più, un terzo e scelto gruppo che non è colpito da patologia alcuna, integrato anche da persone anonime che non hanno raggiunto la gloria del Bernini, fa un passo edificante, poderosamente commovente. Perché non conviene dimenticare che non c’è niente che si tema di più in questa vita di qualunque gamma di dolore fisico, o la globale sofferenza nella quale quello si iscrive. Cristo stesso tremò nell’Orto degli Olivi. Di modo che un gesto come quello della beata, e di quelli che hanno determinato, non già di unire le loro sofferenze a quelle di Cristo, bensì di reclamarle per amore a Lui, non è proprio futile. Magdalena non metteva limite alcuno al suo particolare olocausto. Ed a ciò l’avrebbe aiutata l’orazione e la contemplazione dell’Eucaristia. Altrimenti non avrebbe potuto sopportare, come fece, con pazienza e completo abbandono nelle mani del Padre, quello che dovette affrontare.

Come religiosa la sua missione continuò ad essere nell’insegnamento. Era una persona affettuosa che esercitava in modo competente il suo lavoro, e sapeva infondere nelle alunne le virtù evangeliche che ella praticava, poiché, al di sopra di tutto, si lasciava portare dalle sue ansie di santità. I tratti di innocenza, modestia e pietà fecero sì che già da bambina fosse presa come una specie  di angelo  per coloro che  la conobbero.  Si distingueva  per la sua  fede, spirito di preghiera -univa contemplazione ed azione- che arricchita dall’Eucaristia e devozione mariana, incoraggiavano l’attività apostolica che realizzava nell’aula.

Fu destinata alla scuola di Saarbrücken, e lì apparvero i primi sintomi della malattia polmonare, incurabile all’epoca che l’avrebbe portata precocemente alla morte; Dio si stava impietosendo di lei accorciando la sua vita. Di ritorno a Trier nel 1910, città nella quale si trasferì per consiglio medico allo scopo di fronte alla tubercolosi, non trascurò il suo lavoro. Oltre ad esercitare la docenza, assunse nuove responsabilità fino a che l’infermeria diventò completamente indispensabile e viveva reclusa in essa. Nell’autunno del 1916 la lesione avanzava in maniera implacabile e fu trasportata all’ospedale di Merienhaus. La sua offerta vittimale prendeva forma. Attigua all’infermeria la cappella, con gran senso dell’umorismo – che non perse mai, come neanche l’allegria -, alta dose di conformità, pazienza e pace interiore, faceva notare: “Gesù ed io siamo vicini”. In quel tempo imparò che “il dolore è la migliore scuola d’ amore”. Così è.

Con grande speranza si rese conto che presto sarebbe arrivata la sua morte considerando che era una “allegra notizia”. Morì nel convento di Trier il 18 maggio 1918. Aveva 35 anni, e ne portava 11 di vita religiosa. Sicuramente, per la sua forma di morire a sè stessa, come indica il vangelo, circondata di quella folgorante luce che distacca la mancanza di notorietà quando tutto scorre nell’anonimato ai piedi del Redentore, è stata denominata dal suo biografo “una nascosta sposa di Cristo”. Fu beatificata da Giovanni Paolo II il 1° novembre 1987.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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