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Santo

San Pedro Esqueda Ramirez, 22 novembre

By 21 Novembre, 2024No Comments

Martire messicano. Un esempio di abbandono nelle mani di Dio, giovane sacerdote generosamente donato alla sua missione, e per questo giustiziato con rabbia

Nacque A San Juan de los Lagos (Jalisco, Messico) il 29 aprile 1887. I suoi genitori Margarito Esqueda e Nicanora Ramírez ignoravano che avevano regalato al mondo una persona autentica, coraggiosa, che sarebbe stata testimone di Cristo davanti al mondo. Con scarse risorse economiche, la famiglia viveva illuminata dalla fede che il ragazzo ricevette, e che si preoccupò di accrescere con la grazia divina. Per questo motivo, la conosciuta espressione “siamo nelle mani di Dio” che frequentemente si formula quando l’incertezza, davanti ad un futuro incerto, fa atto di presenza, siano quali siano le ragioni, non fu per lui un commento laconico, una specie di jolly verbale senza più pretese, come tante volte succede. Questo giovane intrepido e valoroso sostenne rigorosamente questa convinzione, con la profondità che racchiude l’assoluta fiducia nella volontà divina, nell’istante più algido della sua breve esistenza.

Il suo precoce impegno nella parrocchia come bambino di coro e chierichetto risvegliò la sua vocazione al sacerdozio. Il suo curriculum accademico era impeccabile. Responsabile ed applicato nei suoi studi, sempre mietendo buone note, fecero di lui un alunno modello per Pietà e Pietro, due dei suoi professori e direttori dei centri nei quali si educò. In quell’infanzia arricchita dalla pietà, e de una gioiosa salute, si abituò a pregare il rosario. Erigeva altari nei quali simulava di stare officiando messa, il sogno che alimentava nel suo spirito.
Aveva 15 anni quando entrò nel seminario ausiliare di San Julián, lasciando l’incipiente lavoro in una calzoleria, perché suo padre giudicò conveniente che iniziasse la carriera ecclesiastica. Lì continuò a mostrare le sue qualità per lo studio che erano solo una sfumatura delle molte che l’adornavano. Nel seminario rimase, ricevendo formazione, fino a che le autorità federali non decisero di chiuderlo nel 1914. Non aveva potuto essere ordinato, ma era già diacono, e ritornando alla sua città natale agì come tale nella parrocchia fino a che, nel 1916, dopo avere completato gli studi nel seminario di Guadalajara, diventò sacerdote. Ricevette il sacramento alla fine di quell’anno nella cappella dell’ospedale della Santissima Trinità. Di seguito fu designato vicario della parrocchia nella quale lavorava. In essa rimase fino alla sua morte; undici anni di intensa attività pastorale, dando il meglio di sé. Rese dinamica la vita apostolica con un eccellente lavoro catechetico che aveva come obiettivo i bambini, dando impulso allo stesso tempo all’associazione Crociata Eucaristica spinto dal suo amore per l’Eucaristia, devozione che, insieme a quella che professava per la Vergine, estese tra i fedeli. Dall’Eucaristia estraeva la sua fortezza e il respiro. Fu anche un angelo di bontà per i poveri.
Le forze governative in una feroce campagna anticlericale avevano dettato ordini di persecuzione, e le buone genti del popolo cercarono di convincere Pietro affinché fuggisse in un altro luogo. Accettò solo di rifugiarsi in maniera provvisoria in alcuni luoghi sempre vicino ai fedeli, di modo che li poteva seguire pastoralmente. I sacerdoti e religiosi che hanno sparso il loro sangue per Cristo e la sua Chiesa in mezzo a conflitti politici erano caritatevoli e si caratterizzarono per la libertà evangelica. Non fecero accezione di persone, né militarono in bande determinate. Radicati in Cristo si prodigavano per le necessità dei loro fedeli, con indipendenza dalle loro ideologie. Così era Pietro.
All’inizio di novembre del 1927 cercò rifugio a Jalostotitlán, Jalisco. Ma ritornò a San Juan portato dal suo amore per i parrocchiani; non voleva lasciarli senza assistenza. Alloggiò nell’ospedale del Sacro Cuore. Il popolo amava quel sacerdote che avevano visto crescere tra loro, ma temevano le rappresaglie delle autorità se gli davano rifugio; per questo motivo, a volte, alcune persone non gli aprirono la porta delle loro dimore. Tuttavia, la grande maggioranza non nascondeva la preoccupazione per il suo destino. E le padrone di una casa nella quale fu accolto, lo pregarono seriamente di scappare. Ma Pietro non era disposto a ciò, e dando testimonianza della sua grande fede, diceva: “Dio mi ha portato, in Dio confido”. Questo sentimento, che reiterò davanti ad altri vicini, in nessun modo può essere spontaneo quando la vita è in pericolo; era collocato in un cuore orante fermamente inchiodato nel cuore del Padre, aperto alla sua grazia.
Fu fermato il 18 novembre di quell’anno 1927. In un misero ed oscuro stanzino soffrì pazientemente la ferocia delle fruste ed altre crudeltà che gli causarono la frattura di una delle braccia; perciò i federali non poterono vederlo spirare nel falò, come avevano previsto. Ma il tormento più doloroso fu vedere profanati davanti a sé gli oggetti sacri, distrutti gli ornamenti e saccheggiato l’archivio parrocchiale. Una crudele ed infame tortura per un uomo di Dio, una persona innocente che l’unica cosa che perseguiva era amare Cristo e gli altri. Le incessanti vessazioni martiriali durarono fino al 22 di novembre. Ammanettato e pieno di ferite fu obbligato a salire da solo su un albero. Lì fu giustiziato senza pietà a colpi di arma da fuoco da un alto ufficiale che rovesciò su di lui il suo torrente d’ira vedendo che non poteva sostenersi nella pira che avevano disposto per giustiziarlo, dando fuoco all’albero in questione. Lungo il suo particolare calvario, avvolto in un eroico silenzio, lasciò il suo testamento di fedeltà alla catechesi ed al vangelo ad alcuni bambini che a lui si avvicinarono.
Giovanni Paolo II lo canonizzò il 21 maggio del 2000.

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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