“Eccelso cappuccino. Dottore della Chiesa e Dottore Evangelico, maestro di virtù e sapienza. Percorse gran parte dell’Europa diffondendo il Vangelo ed estendendo il carisma al quale fu chiamato”
Nacque a Brindisi (Puglia, Italia), il 22 Luglio 1559 e il giorno dopo fu battezzato col nome di Giulio Cesare. Forse i suoi genitori intuivano che sarebbe stato un grande, infinitamente di più che il coraggioso imperatore e leader romano, perché questo bambino era chiamato a dare gloria a Cristo e alla sua Chiesa, della quale a suo tempo sarebbe stato nominato dottore. Il piccolo era delizioso nei suoi modi: affabile, semplice, docile ed umile, virtù che sarebbero cresciute con gli anni. Di modo che, dopo la morte di suo padre quando egli aveva 7 anni, fu accolto nel convento tra i bambini oblati e la sua presenza nelle aule costituì una benedizione. Oltre al suo eccellente carattere, aveva intelligenza, ed una memoria eccezionale, il che fece di lui un alunno più che avvantaggiato. Perse sua madre nell’adolescenza e fu inviato a Venezia da uno zio sacerdote che gestiva un centro docente privato. Lì prese contatto coi padri cappuccini e decise di entrare nell’Ordine. Entrò sapendo quello che significava la vita di consacrazione, con le sue rinunce e contrarietà. Ma quando il superiore l’informò, semplicemente domandò: “Padre, nella mia cella ci sarà un crocifisso?”. Al ricevere risposta affermativa, manifestò rotondo: “Questo mi basta. Guardando Cristo crocifisso avrò le forze per soffrire per amore Suo qualunque patimento”.
Nel 1575 prese l’abito ed il nome di Lorenzo. Fece la professione nel 1576 e si trasferì a Padova per frequentare studi di logica che completò poi a Venezia insieme a quelli di filosofia e teologia. In questa tappa cominciò già ad osservarsi la sua straordinaria capacità nel penetrare nei problemi di indole antropologica e teologica. La Sacra Scrittura non aveva segreti per lui. Tanto è vero che confidò ad un religioso che se la Bibbia si fosse persa l’avrebbe potuta recuperare in quanto era registrata totalmente nella sua mente. Fu autodidatta nello studio delle lingue bibliche sorprendendo perfino gli stessi rabbini con la sua eccezionale preparazione e dominio della letteratura rabbinica. La preghiera e lo studio erano i poli intorno ai quali gravitava la sua vita; non si poteva dire dove cominciava l’una o terminava l’altra, e viceversa. Alludeva alla preghiera dicendo: “Oh, se tenessimo in conto questa realtà! Cioè che Dio è veramente presente davanti a noi quando gli parliamo pregando; che ascolta veramente la nostra preghiera, anche se preghiamo solo col cuore e con la mente. E non solo è presente e ci ascolta, ma può e desidera rispondere volontariamente e con il massimo piacere alle nostre domande”.
Ordinato sacerdote a Venezia nel 1582 si trasformò da allora in un ministro della Parola fuori dal comune. Possedeva per ciò alcune doti formidabili a tutti i livelli. La predicazione la giudicò come: “Missione grande, più che umana, angelica, meglio divina”. I fedeli che l’ascoltavano rimanevano rapiti perché parlava “con tanto zelo, spirito e fervore che sembrava uscire fuori di sé, e, piangendo lui, commuoveva anche il popolo fino alle lacrime”. Curava i suoi sermoni con preghiere che potevano prolungarsi varie ore, e penitenze. La celebrazione della Santa Messa, solitamente di lunga durata, insieme alla sua meditazione nei passaggi evangelici della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo erano altrettanto prioritarie nella sua attività. All’esigenza del carisma cappuccino, aggiungeva mortificazioni diverse anche a costo della sua salute. Ma si preparava per essere un santo sacerdote. Il suo “libro” era la Sacra Scrittura. Per chiarire quello che doveva dire si prostrava ai piedi di un’immagine di Maria, prendendo nota “in situ” di quello che gli era stato ispirato. In Quaresima il suo cibo, già frugale di per sé, si riduceva alla minima espressione.
Fu lettore, guardiano, maestro di novizi, vicario provinciale, provinciale, definitore generale e generale dell’Ordine. Fedelissimo ed ubbidiente, puntuale in tutte le missioni, emergeva anche per le sue doti diplomatiche; erano singolari. Così, tra le altre cose, ottenne la riconciliazione di governanti nemici, e difese la Chiesa davanti ai turchi. Il suo dominio delle lingue, tra le quali si trovava l’ebrea, gli permise di portare a capo con successo la missione che il papa Clemente VIII gli affidò: la conversione degli ebrei. Diede impulso alla fondazione dell’Ordine a Praga superando ogni tipo di prove e difficoltà, penurie e malattie, ingiurie ed oltraggi. La fecondità apostolica che sorgeva dietro la sua predicazione attraeva anche non poche ostilità da parte degli avversari della fede. Aprì altri conventi in Europa, tra cui quelli di Vienna e Graz. Quando fu scelto generale aveva 43 anni ed un vasto territorio da visitare; lo fece a piedi. Così percorse gran parte dell’Italia e dell’Europa; passò anche per la Spagna. Non accettò mai trattamenti di favore; volle essere considerato come gli altri e partecipò a tutti i lavori domestici con umiltà e gioioso spirito. Lasciò scritte numerose opere. I grandi uomini, governanti e religiosi si arresero a questo santo che morì a Lisbona il 22 Luglio 1619, quando aveva 60 anni. Era andato con l’intenzione di avere un colloquio col re della Spagna, Filippo III, per intercedere per i diritti dei cittadini napoletani colpiti dal governo locale.
Fu canonizzato da Leone XIII l’8 dicembre 1881. Nel 1959 Giovanni XXIII lo dichiarò Dottore della Chiesa, aggiungendo il titolo di Dottore Evangelico.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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