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Santo

San Francesco de Borja (Borgia), 30 settembre

By 29 Settembre, 2024No Comments

“Davanti al cadavere di una imperatrice, questo grande gesuita con innumerevoli titoli nobiliari, che fu anche sposo e padre esemplare, comprese la futilità della vita e si convertì. Fu il terzo preposito generale dell’Ordine”.

Come è risaputo, la memoria di Francesco de Borja si celebra in Spagna il 3 ottobre, ma le biografie offerte in questa sezione di ZENIT si reggono rigorosamente con le date inserite in Santi, beati e testimoni che l’include nel giorno di oggi, Lo fa anche il Martirologio romano, per cui si rispetta lo stesso criterio seguito in altri casi simili al suo.

Era figlio del III duca di Gandia (Valencia, Spagna), dove nacque il 28 ottobre 1510, e bisnipote del papa Alessandro VI. Ebbe sei fratelli da parte di padre e madre, e quando il suo genitore contrasse seconde nozze, generò altri dodici rampolli. Cosicché faceva parte di una lunga discendenza. Perse sua madre all’età di 9 anni, quando avevano già apprezzato in lui virtù singolari per la sua età, segnata dall’innocenza e la pietà. Proprio i doni che notò in lui, indussero suo zio materno Giovanni di Aragona, arcivescovo di Saragozza, a prenderlo con lui, dandogli un’eccellente formazione integrale.

Per espresso desiderio di suo padre arrivò alla corte quando aveva 12 anni. Contrasse matrimonio con la portoghese Eleanor de Castro ai 19, e da questa unione nacquero otto figli. Con la prematura morte dell’imperatrice Isabel del Portogallo, che aveva servito fedelmente, si produsse un cambiamento nella sua attività. Dopo aver contemplato il viso appassito dell’imperatrice, che giaceva nel suo letto di morte, proferì questa appassionata esclamazione: “Non servirò mai più un signore che possa morire!”. Era più che una dichiarazione di intenzioni. Avendo compreso la futilità della vita, questo fatto segnò la sua attività. Egli stesso lo ricordava periodicamente nel suo diario: “Per l’imperatrice che morì nel tale giorno come oggi. Per quello che il Signore operò in me attraverso la sua morte. Per gli anni che oggi si realizzano dalla mia conversione”.   

Nel 1539 – lo stesso anno nel quale morì Isabel, ed essendo già marchese di Lombay – l’imperatore lo designò viceré della Catalogna. Tuttavia, né questi titoli, né altri che ottenne, come il ducato di Gandía e quello di Grande di Spagna, né la vanità della corte, oscurarono la sua pietà, quella che gli fece aspirare la vita monastica già nella sua infanzia, anelito troncato dai suoi genitori che lo destinarono a servire a Tordesillas. Per questo, tale circostanza, a parte l’esperienza che gli procurò e il vincolo coniugale che lo unì ad Eleanor, non dissipò i suoi aneliti che rimasero vivi al suo interno. Così, stabilendosi a Barcellona, prese contatto con san Pedro de Alcántara e col beato gesuita Pedro Fabro. Questo religioso fu decisivo nella sua vita. Può essere che, conoscendolo, si ricordasse il doloroso episodio che aveva presenziato in Alcalá de Henares quando aveva 18 anni. Il fatto che lo colpì fu vedere un uomo condotto davanti all’Inquisizione; si trattava di Ignazio di Loyola.

Francesco si trasformò in benefattore della Compagnia ed inoltre fondò una scuola a Gandía. La sua condotta evangelica si scontrava con l’ambiente; le sue convinzioni suscitavano diffidenze tra alcune persone rilevanti che forse pensarono che non era opportuno mescolare la fede col lavoro. Ma egli seguiva il dettato del suo spirito e niente di ciò fece impressione su di lui. Si ammalò Eleanor ed egli supplicò il cielo per lei. Una locuzione divina lo avvisò: “Tu puoi scegliere per tua moglie la vita o la morte, ma se tu preferisci la vita, questa non sarà né per il tuo beneficio, né per il suo”. Con molto dolore e lacrime dichiarò: “Che si faccia la vostra volontà e non la mia”. Ella morì nel 1546; suo figlio piccolo aveva 7 anni. Coincise che passò il padre Fabro per Gandía e, senza perdere più tempo fece gli esercizi spirituali, ed emise i voti di perfezione quello stesso anno di 1546. Con essi si impegnava ad integrarsi nella Compagnia.

A Roma Ignazio accolse con gioia la notizia, ma mise una nota di prudenza consigliandogli di rinviare la sua entrata effettiva fino a risolvere il tema dell’educazione della sua prole, e che avesse cautela evitando di far conoscere la sua decisione. L’anno seguente, con l’assenso del santo, Francesco emise privatamente i voti. Infine, nell’agosto del 1550, dopo avere rinunciato ai suoi titoli e lasciato i suoi figli sistemati, andò a Roma per parlare col fondatore della Compagnia, e ad essa si vincolò per sempre. Nel maggio del 1551 ricevette l’ordine sacerdotale a Oñate, e celebrò la sua prima messa a Vergara. Carlo V lo propose come cardinale, ma egli rifiutò. Era un uomo buono, umile, austero, si dava alle mortificazioni e dure penitenze; non evitava i momenti di umiliazione. Arrivò a sentirsi più indegno di Giuda a cui il Redentore aveva lavato i piedi, considerandolo perciò con una dignità superiore alla sua.

Per un tempo stette a Oñate svolgendo compiti domestici semplici, forgiandosi nella vita religiosa, soffrendo per amore di Cristo molti istanti di contrarietà perché fu trattato con più severità del solito, data la sua antica condizione nobiliare. Poi iniziò un’ardente evangelizzazione nelle località attigue, estendendo il campo di azione a Castiglia, Andalusia e Portogallo. Aveva doti straordinarie per l’organizzazione, virtù e grande zelo apostolico; era devotissimo dell’Eucaristia e della Vergine.

Nel 1566 dopo la morte di padre Laínez fu eletto preposito generale della Compagnia. Fondò più di una ventina di scuole in Spagna, costruì a Roma la chiesa di Sant’Andrea nel Quirinale, diede impulso al noviziato e alla Scuola Romana, mise le basi per la costruzione del Gesù e ottenne che la Compagnia si espandesse nei diversi continenti, tra le altre azioni. Sottomise alla considerazione di Pio V la creazione della Congregazione per la Propagazione della Fede. Scrisse trattati spirituali, e soccorse i colpiti dalla peste che distrusse Roma nel 1566. Due giorni prima di morire espresse il suo desiderio di ritornare al santuario di Loreto. La sua morte avvenne a Roma il 1°ottobre del 1572.

Urbano VIII lo beatificò il 23 novembre 1624. Clemente X lo canonizzò il 12 aprile 1671.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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