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Beata María Luisa Angélica (Gertrude) Prosperi, 12 settembre

By 11 Settembre, 2023Santo
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“Mistica benedettina, gratificata con esperienze soprannaturali, patì l’incomprensione di uno dei suoi direttori spirituali. Fu una grande badessa che resse santamente la comunità fino alla fine dei suoi giorni”.

Oggi festività del Santo Nome di Maria, tra gli altri santi e beati, si celebra la vita di Gertrude Prosperi. L’insondabile amore per Dio ed il prossimo condiviso da questa benedettina, insieme a tutti quelli che seguono la vita santa, ha in ogni sposo la sua sfumatura, benché esistano sempre confluenze perché l’itinerario spirituale è impastato di offerta e preghiera circondando una croce che invita ad immergersi nelle braccia del Padre.

Gertrude era un’italiana che venne al mondo in una famiglia di provenienza aristocratica, benché economicamente non si trovasse nel suo migliore momento. Vide la luce per la prima volta a Fogliano, il 19 agosto 1799. Quando a 20 anni entrò nel monastero benedettino di Santa Lucia a Trevi era più che vincolata alla fede che le trasmisero i suoi genitori. Non arrivò a trascorrervi neppure trent’anni perché il suo destino, quello che si coltivò con la sua eroica donazione nella vita religiosa, era il cielo. La sua esistenza terminò quando aveva 47 anni.

Fin da quando iniziò il suo cammino come consacrata, la sua traiettoria spirituale fu un compendio di esperienze mistiche in mezzo alle quali non mancarono le insidie del diavolo. A ciò si unì il giudizio precipitoso ed erroneo di un direttore spirituale. Parallelamente governò con rigore e saggezza la comunità. Iniziando il processo di beatificazione si fecero presenti i pilastri sui quali sostentò la sua eroica vita. Non furono altri che l’adorazione del Santissimo Sacramento, la contemplazione di Cristo crocifisso, che le infondeva piena fiducia nella sua infinita misericordia e la certezza che se seguiva i suoi passi avrebbe ottenuto la grazia di stare eternamente vicino alla Santissima Trinità, come con Maria, Giuseppe e i beati.

Lo svolgimento di questo cammino intrapreso con piena coscienza, libertà e la volontà di non voltare la testa indietro fu semplicemente quello proprio di una persona consacrata che è fedele a Cristo nelle piccole cose di ogni giorno. Ella svolse le missioni di infermiera, sacrestana, camerlengo in quattro occasioni, e fu anche istruttrice di ospiti. Non c’è da dubitare del suo impegno nell’esercitarli con efficacia e farlo impregnandoli di carità perché altrimenti non sarebbe stato tanto stimata dalle sue sorelle e da persone esterne al monastero, come fu il caso. Perché Gertrude era una donna di intensa orazione ed incoraggiava tutte a vivere con quello spirito evangelico indicato da Cristo. Era semplice, umile e caritatevole, prudente ed esatta osservante della regola benedettina; amava la povertà e detestava le lodi a lei dirette. Sempre sceglieva per sé quello che non era stimato dalle altre. Grande asceta, al fine di piegare il suo corpo, aveva adottato mortificazioni e severe discipline che erano usuali all’epoca. Nessuno poté sospettare inizialmente di convivere con una religiosa gratificata con tanti favori celestiali, né il tormentoso agguato del diavolo che soffriva. Era cosciente che se gli episodi che le accadevano fossero usciti alla luce avrebbero turbato il ritmo della comunità.

Nell’ottobre del 1837 fu designata badessa, missione incarnata con zelo e fedeltà alle costituzioni riuscendo in poco tempo a far sì che le difficoltà comunitarie lasciassero spazio ad una vitale e feconda convivenza tra tutte, unite dall’amore e dal compimento della regola che avevano ereditato. Fu in questa epoca quando uno dei suoi quattro direttori spirituali, Mons. Ignazio Giovanni Cadolini, arcivescovo di Spoleto, le indicò di mettere per iscritto le sue esperienze mistiche. In una delle visioni che ebbe, Cristo avvisò Gertrude della provenienza delle sue sofferenze. Il Redentore portava la croce quando le disse: “così è come ti voglio, sarai la vergogna di tutti. Ti vedrai oppressa, e nonostante essere molestata dai demoni, soffrirai per causa dei confessori. Desidereranno aiutarti, ma non potranno…”. Ebbene, Mons. Cadolini per cinque anni giudicò che le visioni erano frutto del suo orgoglio, istigate dal diavolo. Le fu imposta una pena e soffrì l’incomprensione della comunità. Ma ella continuava a vivere prigioniera di quell’amore al Sacratissimo Cuore di Gesù. E nei celestiali colloqui riceveva grandi consolazioni: “Qui figlia sta la tua casa, qui riposerai, chiedi quello che vuoi, metti qui ogni cuore che io l’accetterò, quelli dei giusti per amarmi, quelli dei peccatori per convertirli, quelli degli increduli affinché possano ritornare alla mia Chiesa”. Frattanto, il demonio attentava a lei battendola con accanimento oltre ad infliggerle altre aggressioni.

In un momento dato, Mons. Cadolini volle trasferirla a Ferrara della cui sede era già cardinale, affinché si integrasse in una fondazione che egli voleva mettere in moto. L’uscita dal monastero le sarebbe costata molto, ma la beata antepose l’obbedienza, rispondendo: “Io niente decido, voglio solo quello che vuole Dio”. E si vede che Egli voleva che rimanesse a Spoleto. Quella che terminò fu la sua relazione col prelato. Il gesuita P. Paterniani, confessore e suo biografo, ha narrato la straordinaria vita di questa donna che, anche se malata dal 1847, trovandosi nel suo letto dirigeva la comunità ed aveva brio per incoraggiarla nell’osservanza rigorosa del carisma che le congregava. Nella Settimana Santa di quell’anno visse la Passione di Cristo come manifestò la novizia Pellegrini: “attorno alla testa ha come segnali in forma di corona di spine, vicino al cuore ha una ferita aperta e piena di sangue vivo, apparve un segno arrossato nel mezzo delle mani…”. Dopo un leggero miglioramento, arrivando la Pasqua Gertrude peggiorò di nuovo benché continuasse a reggere il monastero fino a che morì il 12 settembre 1847.

Il 10 novembre 2012 è stata elevata agli altari nella cattedrale di Spoleto. Dal 1232, occasione in cui la città si vestì di gala per la canonizzazione di sant’Antonio di Padova, non aveva avuto luogo una cerimonia di tale solennità.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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