Vangelo e riflessione

Il Signore è vicino | Vangelo del giorno, 21 dicembre

By 17 Dicembre, 2025No Comments

Vangelo secondo San Matteo 1,18-24
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa «Dio con noi». Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Il Signore è vicino

Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes

Roma, 21 dicembre 2025 | Quarta Domenica di Avvento

Isaia 7, 10-14; Lett.Romani 1, 1-7; Matteo 1, 18-24

Colpisce il fatto che i piani di Dio, notoriamente, si compiano molte volte… nei momenti meno attesi. Questo è il caso della vita di molti profeti, o anche di alcuni seguaci di Gesù, che si trovavano in una condizione particolarmente sfortunata della loro vita quando furono chiamati a seguirlo fino alla fine. Così accadde ai discepoli di Emmaus, o anche a San Giuseppe, che era molto confuso come suggerisce il Vangelo di oggi.

Così avviene anche alle comunità religiose, per esempio alla Compagnia di Gesù, nella persona di San Giuseppe Pignatelli (1737-1811), che riuscì a restaurarla quando era stata espulsa da quasi tutti i paesi e sciolta ufficialmente da Clemente XIV nel 1773.

Naturalmente, il caso più eclatante è raccontato dal Vangelo di oggi. Ai tempi di Gesù, la regione in cui nacque, la Giudea, faceva parte dell’Impero romano ed era segnata da tensioni politiche, diversità culturale, tasse esagerate e corruzione. Il re Erode il Grande governava come “re cliente” di Roma; era un leader ambizioso, famoso per le sue grandi costruzioni e per la sua crudeltà, secondo le fonti antiche. In queste condizioni, Dio Padre decise di inviare suo Figlio.

Ma questa non è solo storia passata, bensì qualcosa che avviene a ognuno di noi e prima o poi dobbiamo riconoscere, vergognosi, che in quei momenti non siamo stati capaci di abbracciare la fede per dare la testimonianza di aver bisogno di essere fedeli in mezzo all’impotenza, alla contrarietà o all’assenza di risultati visibili.

Il regno di Giuda era minacciato da coalizioni nemiche (Israele e Siria). In quella situazione, come racconta la Prima Lettura, Dio, attraverso Isaia, offre al giovane re Acaz un segno per confermare la sua protezione. Ma Acaz è così incredulo, che rifiuta persino di chiedere un segno. Nonostante tutto, Dio stesso ne promette uno: la nascita di un bambino, che simboleggia la continuità della dinastia davidica e la certezza che Dio accompagna il suo popolo in mezzo alla crisi. Per giunta, Ezechia, il figlio di Acaz, non fu esattamente un re vittorioso e invincibile… Di modo che la profezia di Isaia ha una portata molto maggiore di ciò che accadde al mediocre Acaz e, in effetti, si compie con l’arrivo di Cristo nel mondo.

Per comprendere il testo, conviene ricordare cosa significa “la vergine è incinta”. Il significato della parola “vergine” nell’Antico Testamento è un po’ più vario di quello che intendiamo oggi. Naturalmente, la verginità di una giovane era qualcosa di prezioso e stimato prima del suo matrimonio. Ma significava anche il disonore di una donna adulta che non era stata capace di unirsi a uno sposo e formare una famiglia. Per esempio, quando il profeta Isaia dice: Scendi e siedi sulla polvere, vergine figlia di Babilonia (Isaia 47, 1), non sta dicendo qualcosa di bello a quella città aggressiva, ma annuncia la sua futura sterilità, una disgrazia personale, che significava anche una vergogna pubblica, come accadde alla povera samaritana, che parlò con Gesù al pozzo ed era disprezzata per non essere riuscita a formare una famiglia.

Questo dà ancora più valore alla risposta di Maria all’angelo, poiché manifesta la sua sorpresa, per considerarsi equiparabile a una di quelle “vergini” considerate di poco valore, viste come indegne da quella società così aspra e dura per le donne.

Per noi, il nostro atteggiamento verso Maria non deve essere solo ammirazione, ma piuttosto “imitazione”, poiché, come lei, dobbiamo riconoscere la nostra piccolezza e, allo stesso tempo, l’impegno della Provvidenza nello scegliere persone ordinarie (nel nostro caso, forse malate, peccatrici, ignoranti, troppo giovani o troppo anziane) per collaborare nel regno dei cieli.

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Nel Vangelo ci viene ricordato oggi che il nome Emmanuele significa “Dio con noi”. Anche Cristo si congedò dai suoi discepoli assicurando che sarebbe stato con loro fino alla fine dei tempi. La presenza è qualcosa di potente tra gli esseri umani e nella nostra relazione con Dio.

Tutti abbiamo visto un bambino che impara a camminare in casa sua. I suoi passi sono insicuri, le sue mani cercano sostegno nell’aria. Intanto, il padre o la madre guardano dall’altro angolo della stanza, senza pronunciare consigli, solo con un sorriso, e aspettando con le braccia aperte. Il bambino guarda di sottecchi e vede la figura tranquilla, ferma come una roccia. Non è un abbraccio o un discorso ciò che lo sostiene, bensì la certezza che suo padre è presente. Ogni caduta diventa meno temibile, ogni progresso più fiducioso. Quando alla fine il bambino raggiunge il suo papà o la sua mamma, scopre che l’aiuto è stato la forza invisibile di una presenza che lo accompagnava.

Anche in 2 Samuele 6, 10-11 leggiamo come Davide non volendo più portare l’arca del Signore presso di sé nella Città, ordinò che fosse portata nella casa di Obed Edom, di Gat. Fu così che l’arca del Signore rimase tre mesi nella casa di Obed Edom di Gat, e il Signore benedisse Obed Edom e tutta la sua casa. Solo per la presenza dell’arca, la famiglia di Obed Edom viene benedetta.

Recitando l’Ave Maria ripetiamo, forse senza assaporare del tutto ciò che stiamo dicendo, il saluto dell’angelo a Maria: “il Signore è con te”. Era l’unica cosa che la giovane di Nazaret doveva capire. E san Giovanni Battista, indicando Gesù, insiste: Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo.La prima cosa, l’essenziale, è rendersi conto che è già davanti a noi.

È necessario comprendere che la presenza di Cristo non è solo generica, “nella Chiesa”, ma in ogni essere umano. Questa presenza NON È per risolvere i nostri problemi. Al pari del papà o della mamma che guardano il figlio muovere i primi passi, la sua presenza conferma o benedice ciò che stiamo facendo, come accadde con l’Arca nella famiglia di Obed Edom. Come riesce quella presenza a confermarci? Riempendoci di gioia e chiedendoci di fare un passo in più, come succede con il bambino.

Questo accade molto specialmente quando serviamo il prossimo. Ciò spiega perché San Paolo raccomanda ai filippesi: Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! (Fil 4, 4-5). Non si tratta di un comandamento di Paolo, bensì dell’invito a vivere un’esperienza: un gesto gentile, un favore realizzato con distacco, genera una gioia speciale, diversa, che inoltre ci assicura la vicinanza del Signore.

Questa vicinanza è specialmente rilevante quando è quella di qualcuno simile a noi, qualcuno familiare. Nel caso di Cristo, per assicurarsi la nostra fiducia, si fa uomo e sperimenta le nostre stesse emozioni, tentazioni, gioie e sofferenze, inclusa la morte. Si tratta di qualcuno che conosce la nostra esistenza e le sue difficoltà “da dentro”.

È simile a quanto accadde nella Visitazione di Maria alla sua parente Elisabetta; un uomo avrebbe potuto aiutarla nella sua gravidanza, ma non sarebbe riuscito a comprendere e accogliere i suoi sentimenti e le sue fatiche come fece Maria, che era nella stessa situazione e aveva ricevuto la stessa grazia della maternità.

In realtà, la vita di Maria è il miglior esempio di come si manifesta questa continua conferma che lo Spirito Santo va verificando nelle nostre vite e alla quale ha sempre dato il suo consenso: essere Madre in un modo e in un momento insospettati, lasciare la sua città e il suo paese per il bene di suo Figlio e, infine, vederlo morire per ricevere da Lui la missione finale di prendersi cura di noi.

Non possiamo dubitare della chiarezza di questa conferma, anche se a volte ci lascia sorpresi, perplessi o spaventati. Il segno caratteristico è che qualcosa della nostra vita deve passare agli altri. Questo si può produrre in mezzo all’apatia, alla vacillazione e alla contrarietà, ma Gesù, quando lava i piedi ai discepoli, abbandonando i suoi diritti di “Maestro e Signore”, servendo in modo umile e gioioso, sente una gioia che invita i discepoli a condividere: Beati voi se metterete in pratica queste cose (Gv 13,17).

Alcuni di noi considerano il servizio come un obbligo o persino come un peso, perché siamo sopraffatti dai compiti e a volte non vediamo il frutto che giustamente vorremmo ottenere. Ma nella vita di Gesù constatiamo chiaramente che le sue azioni sono un seme che non può morire, che darà frutto a suo tempo.

Per questo San Giovanni Paolo II ricordava in una Udienza Generale (19 giu 1991):

Il Vangelo è un invito alla gioia e un’esperienza di gioia vera e profonda. Così, nell’Annunciazione, Maria è invitata alla gioia: “Rallegrati, piena di grazia” (Lc 1, 28). È il coronamento di tutta una serie di inviti formulati dai profeti nell’Antico Testamento (cfr. Zc 9, 9; Sof 3, 14-17; Gl 2, 21-27; Is 54, 1). La gioia di Maria si realizzerà con la venuta dello Spirito Santo, che le fu annunciata come motivo del “rallegrati”.

Vorrei terminare ricordando che oggi si celebra la festività del profeta Michea, perché è un esempio di gioia nel servizio.

Fu fedele alla sua missione profetica: denunciò l’ingiustizia, difese i poveri e annunciò la speranza del Messia. La sua felicità non venne da comodità esterne, bensì dalla certezza di servire, compiendo la volontà di Dio, anche se la sua vita non fu facile. La sua sensibilità verso i poveri e gli emarginati segnò il suo messaggio.

Visse nel VIII° secolo a.C., fu contemporaneo di Isaia e Osea ed era un contadino di Moreset, un villaggio rurale di Giuda. Quell’origine rurale gli permise di comprendere la sofferenza del popolo e di trasmettere la voce di Dio dalla prospettiva degli umili, poiché i ricchi opprimevano i poveri, c’era una corruzione scandalosa a Gerusalemme e il timore delle minacce militari dell’Assiria.

Alzò la sua voce contro le élite di Gerusalemme, criticando lo sfruttamento e l’idolatria e annunciò che da Betlemme sarebbe uscito il futuro re, il Messia che avrebbe portato la pace: E tu, Betlemme Efrata, così piccola tra i clan di Giuda, da te mi nascerà colui che deve governare Israele: le sue origini risalgono al passato, a un tempo immemorabile (Michea 5, 1).

Il suo annuncio fu fonte di consolazione e gioia, poiché mostrava che la storia non terminava nell’ingiustizia, bensì nella promessa di pace.

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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,

Luis CASASUS

Presidente