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Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

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Siamo giunti alla conclusione di questo sorprendente percorso incentrato sulle beatitudini, soffermandoci non soltanto sull’ultima di Matteo ma anche sui versi che l’accompagnano:

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi. (Mt. 5, 10-12)

Di seguito alcuni passaggi della riflessione di Daniel Cardenas, missionario Idente:

E’ interessante vedere che la prima e l’ultima beatitudine hanno due peculiarità: la prima è che hanno la stessa promessa: tutte e due annunciano il “possesso” del regno dei cieli. La seconda peculiarità è che sono le uniche promesse scritte al presente: di essi “è” il regno (a differenza di tutte le altre, che sono espresse al futuro). Cristo ci dice che “il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!” (Lc 17, 21). Ci mette in guardia, affinché siamo attenti a non perderlo. Possedere il regno dei cieli. Dobbiamo renderci conto della grandezza di ciò che c’è in ballo. Non c’è in ballo l’essere “più o meno buoni”; l’essere solo dei “bravi cristiani”; “l’organizzare meglio la mia vita” o cose del genere; c’è in ballo il possesso del cielo! Ci rendiamo conto di questo? Che cosa può valere per noi più del cielo stesso?

Dall’altra parte questa beatitudine è l’unica beatitudine scritta in forma passiva: “beati i perseguitati”, “quando vi insulteranno”, “quando diranno”, ecc. Sembra una beatitudine lasciata al destino, lasciata alla sorte; una beatitudine che potrò vivere soltanto se la vita mi porterà ad essere perseguitato, ad essere insultato. E se nessuno mi dovesse perseguitare? Non potrò vivere questa beatitudine? Impossibile che Cristo abbia lasciato una cosa così grande come il possesso del regno dei cieli alla “sorte”.

Cristo è molto chiaro sulla motivazione della persecuzione di cui parla. Non è una qualunque persecuzione. E i motivi sono due: “per la giustizia”, e “per causa mia”. E queste due cose coincidono, perché Cristo ci sta parlando della giustizia di Dio! La giustizia di cui parla Cristo, non è la “nostra” giustizia. Noi vorremmo sempre le cose “giuste”, ma quante volte andiamo contro la carità per far valere una cosa giusta; che secondo noi “va fatta così”. Ci facciamo chiamare “cristiani”, e Cristo ha redento il mondo attraverso l’ingiustizia più grande della storia! Quanto è diversa la giustizia di Dio e quella del mondo.

La giustizia, si dice, è dare a ciascuno il suo; “a ciascuno il dovuto”. E nel mondo la giustizia è questo (o dovrebbe), nel bene e nel male. Ma Cristo ci ha detto “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Ed è questo quello che spetta ad ogni uomo. È questo che io devo rendere agli altri per essere “giusto secondo Dio”. Dare il suo amore! Questo è per un cristiano dare a ciascuno il dovuto. Solo allora cominciamo a vivere questa beatitudine; solo allora cominciamo ad avere dentro di noi il Regno dei Cieli. È lo “spirito del mondo” che ci grida dentro, che ci perseguita, ogni volta che la sua giustizia (o la nostra) si scontra con la giustizia di Dio. E questo scontro avviene in cose piccolissime, come ad esempio dare ragione all’altro su una sciocchezza e farlo con carità, con l’amore di Cristo. È difficile proprio perché ci appelliamo alla nostra giustizia che ci perseguita, e vuole prevalere; dentro di noi c’è un mondo che ci perseguita. Ecco perché sentiamo una contraddizione quando agiamo con giustizia, cioè secondo Dio. La sentiamo eccome! Ma quando rinnego me stesso, in silenzio, tacendo, sorridendo, cercando in me gli stessi sentimenti di Cristo, ecco che la beatitudine arriva. La sento! In quel momento sono beato, e devo esserne cosciente.

Questo mondo che ci grida dentro e che ci perseguita assomiglia un po’ all’indemoniato del vangelo di Marco, che “più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava […]. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, e urlando a gran voce disse: “Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!”” (Mc 5,4-7).  Stranamente quando Gesù lo incontra, ciò che gli chiede è “come ti chiami?”. Perché per modellare la nostra giustizia secondo quella di Cristo, ognuno di noi deve dare un nome alle cose; al mondo che ci grida dentro e che ci perseguita.

Quando uno comincia a vivere questa beatitudine che ci promette Cristo; quando cominciamo ad assaporare il regno dei cieli in quei pochi secondi di aver vissuto la giustizia di Dio, il nostro mondo cambia! Questo è fare esperienza del regno dei cieli in quelle piccole cose (chissà, forse sono le più vere). Ma è grande il rischio di fare del nostro cuore quel terreno sassoso di cui parla Cristo nella parabola del seminatore: “è l’uomo che ascolta la parola e subito l’accoglie con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli subito viene meno”. (Mt 13, 20-21)

Questi sono i piccoli momenti di tribolazioni, ma sono lo strumento che produce in me quel regno dei cieli. È qualcosa di immenso: il regno dei cieli in me dipende da uno di quei piccoli momenti, come il seme della parabola.

Questa è una beatitudine che, in qualche modo, racchiude tutte le altre. Ed è per questo che è “passiva” perché per vivere la giustizia secondo Dio, che genera in noi un sentimento di contraddizione,  o persecuzione interna e per poter dare all’altro ciò che gli è dovuto – e quindi niente di meno che l’amore di Dio – è assolutamente necessario che io sia povero in spirito, che io sia misericordioso, che io sia mite, che io sia puro ecc. È la beatitudine della fedeltà a Dio e alla sua parola. Questo vuole essere un invito a vivere e a gustare questa beatitudine. A gustare il Regno di Dio che risiede tra noi; accanto a noi; molto più vicino di quanto pensiamo.